Moll Flanders (Collins Classics) (50 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

Lui rimase sbalordito, e per un po’ rimase a contare sulle dita, senza parlare. Alla fine incominciò: “Dunque, vediamo,” dice, sempre contando sulle dita, e incominciando dal pollice, “prima ci sono duecentoquarantasei sterline in contanti, e poi due orologi d’oro, anelli di diamanti, e argenteria,” dice, puntando sull’indice. Poi, sul medio: “Ci sono una piantagione sul fiume York, cento sterline all’anno, centocinquanta sterline in contanti, e una barca piena di cavalli, mucche, maiali, e provviste”; e di nuovo sul pollice. “E adesso,” dice, “un carico costato duecentocinquanta sterline in Inghilterra, e che qui vale il doppio.”

“Bene,” dico io, “e allora che conclusione tiri da tutto questo?”

“La conclusione?” dice lui; “eccola: chi dice che fui imbrogliato quando presi moglie nel Lancashire? Direi proprio che ho sposato una donna ricca, una donna ricchissima,” dice.

In poche parole, eravamo ora in una situazione prospera, che ogni anno migliorava; infatti la nostra piantagione ci cresceva fra le mani senza che ce ne accorgessimo, e in otto anni che ci abitammo, la portammo a un tale livello che il reddito era almeno di trecento sterline l’anno; voglio dire che tanto poteva valere in Inghilterra.

Dopo essere rimasta un anno a casa mia, traversai la baia per andare a trovare mio figlio e riscuotere un altro anno di reddito della piantagione; ebbi la sorpresa di apprendere, appena sbarcata, che il mio vecchio marito era morto e che era stato sepolto da appena due settimane. Questa, lo confesso, non fu una notizia spiacevole, perché adesso potevo comparire dovunque come maritata; dissi perciò a mio figlio prima di separarmi da lui, che pensavo di sposare un gentiluomo che possedeva una piantagione vicina alla mia; e anche se adesso ero legalmente libera di maritarmi, rispetto a qualunque impedimento che avessi avuto prima, tuttavia mi crucciavo al pensiero che il fattaccio potesse prima o poi venire a galla e dispiacere a un marito. Mio figlio, gentile, buono e rispettoso come sempre, mi ospitò quella volta in casa sua, mi versò le mie cento sterline e mi rimandò a casa carica di regali.

Qualche tempo dopo, feci sapere a mio figlio che mi ero maritata, e lo invitai a venirci a trovare, e anche mio marito gli scrisse una lettera molto cortese invitandolo; e così lui venne dopo qualche mese, e capitò proprio quando giunse il mio carico dall’Inghilterra, che io gli feci credere fosse tutta roba di mio marito, non mia.

Bisogna dire che, quando quel vecchio sciagurato del mio fratello-marito morì, io feci allora a mio marito un racconto completo di tutta la faccenda e del fatto che quel cugino, come l’avevo prima chiamato, era in realtà mio figlio in virtù di quell’infelice matrimonio sbagliato. Lui non si scompose al racconto, e mi disse che non si sarebbe scomposto nemmeno se il vecchio, così lo chiamò, fosse stato ancora vivo. “Infatti,” disse, “non fu colpa vostra, né tua né sua; era uno sbaglio che non si poteva prevedere.” Rimproverò soltanto a lui di averlo voluto tenere nascosto, e continuare a stare con me come marito, quando io sapevo che era mio fratello; questo, disse, era stato poco bello. A questo modo tutte le difficoltà si appianarono e vivemmo insieme con tutto l’affetto e tutto l’agio immaginabile. Adesso siamo diventati vecchi; io sono tornata in Inghilterra, ho settant’anni, e mio marito sessantotto, ed è trascorso molto più del tempo fissato per la mia deportazione; e adesso, nonostante tutte le fatiche e tutte le miserie che abbiamo attraversato, siamo tutti e due tranquilli e in buona salute. Mio marito è rimasto ancora qualche tempo laggiù dopo la mia partenza per sistemare i nostri affari, e dapprima io pensavo di tornare da lui, ma, su desiderio suo, ho cambiato decisione, e verrà anche lui in Inghilterra, dove intendiamo spendere il resto dei nostri anni in sincera penitenza per le vite dissolute che conducemmo.

Scritto nell’anno 1683

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IN QUESTO ARCHIVIO:

TITOLO: Moll Flanders

AUTORE: Daniel Defoe

TRADUZIONE E NOTE:

NOTE:

DIRITTI D’AUTORE: no

TRATTO DA: Moll Flanders,

traduzione di Giuseppe Trevisani,

Garzanti, 1965

collana Garzanti per tutti,

I grandi libri

10
totale sterline
53
14

Io osservai i tre conti, sorrisi, e le dissi che da quanto vedevo erano le sue richieste ben ragionevoli, tutto considerato, e per il resto non avevo alcun dubbio che il suo servizio fosse ottimo.

Lei disse che quello l’avrei potuto giudicare di persona. Io dissi che purtroppo temevo di dover essere cliente sua alla tariffa più bassa. “E forse, signora,” dissi, “a quella tariffa mi accoglierete con minore entusiasmo.”

“No, nient’affatto,” disse lei, “perché al posto di una della terza tariffa io ne posso avere due della seconda e quattro della prima, e così prendo da ciascuna in proporzione; ma se voi avete qualche dubbio circa la cura che avrò per voi, io permetterò che qualsiasi persona vostra amica venga a controllare se siete trattata bene oppure no.”

Poi mi spiegò i particolari del conto. “In primo luogo, signora,” disse, “vi faccio osservare che qui c’è il mantenimento per tre mesi; vi costa solo dieci scellini la settimana; mi sento di affermare che non vi lamenterete della mia cucina. Scommetterei,” dice, “che attualmente non spendete meno; o mi sbaglio?”

“No, davvero” dico io, “non spendo meno, perché pago sei scellini la settimana di pigione per la stanza, e penso da me al vitto, che viene a costarmi molto di più.”

“E poi, signora,” dice lei, “se il bambino non dovesse sopravvivere o dovesse nascer morto, come sapete che qualche volta avviene, si risparmia la spesa del prete; e se non avete amici da invitare, potete risparmiare la spesa della cena; tolte perciò quelle spese, signora,” dice, “il parto vi costerà in tutto soltanto cinque sterline e tre scellini più di quel che avreste speso per il vostro normale tenore di vita.”

Questa era la cosa più ragionevole che avessi mai sentito; perciò sorrisi e le dissi che sarei divenuta sua cliente; ma le dissi anche che siccome mi mancavano ancora due mesi, poteva che mi servisse fermarmi da lei più di tre mesi e volevo sapere se lei non avrebbe dovuto mandarmi via prima del momento giusto. No, disse quella; la sua casa era grande, e inoltre lei non mandava mai via nessuna persona che aveva partorito lì prima che fosse lei stessa a volersene andare; e se per caso aveva richieste da più signore, siccome era tutt’altro che malvista dal vicinato, era in grado di trovare sistemazione per venti, se occorreva.

Io trovai che era a suo modo una donna d’eccezione; e, in breve, accettai di mettermi nelle sue mani e glielo promisi. Lei parlò allora d’altro, s’informò del modo in cui ero sistemata lì, criticò il fatto che mi mancavano parecchie comodità, e disse che non sarebbe stato così a casa sua. Io le dissi che avevo riguardo a parlarne, perché la padrona di casa mi trattava con distacco, da estranea, o così m’era parso, dal momento in cui ero caduta ammalata, perché aspettavo un figlio; e temevo che potesse arrivare a comportarsi con me in modo offensivo, col pretesto che io non le avevo raccontato i fatti miei.

“Oh, cara,” disse quella, “sua signoria non è poi tanto estranea a cose del genere; ha fatto più volte la prova a tener in casa signore nelle vostre condizioni, ma non è mai riuscita a metter le cose a posto con la parrocchia; e non è poi quella signora che voi credete; comunque, visto che ve ne andate, è meglio che non le diate confidenza, farò io in modo che finché resterete qui siate trattata un po’ meglio di quel che vedo, e questo non vi costerà un soldo di più.”

Io non ci capii nulla; la ringraziai, però, e così ci salutammo. La mattina dopo mi mandò un pollo arrosto caldo, una bottiglia da una pinta di sherry, e mi fece dire dalla cameriera che aveva l’ordine di badare a me tutto il giorno finché restavo lì.

Era un gesto curiosamente gentile e buono, e l’accettai molto volentieri. La sera lei mandò ancora a chiedere se avevo bisogno di qualche cosa e come stavo, e ordinò alla cameriera di andare da lei la mattina dopo a prendere il mio pranzo. La cameriera ebbe l’incarico di prepararmi la cioccolata al mattino prima di uscire, e così fece, e a mezzogiorno mi portò un pasticcio di petto di vitello, intero, e un piatto di zuppa per pranzo; e a questo modo colei mi assisteva da lontano, tanto che io ero tutta contenta e stavo benissimo, perché per la verità la mia prostrazione precedente era stata la causa principale della mia malattia.

Io m’aspettavo, com’è frequente il caso con quella gente, che la serva che lei m’aveva mandato fosse una qualche giovane svergognata della razza di Drury Lane, e mi sentivo molto a disagio nell’averla con me; perciò non volli a nessun costo farla dormire in casa quella notte e le tenni gli occhi spalancati addosso come se avessi avuto a che fare con una ladra patentata. La mia signora subito indovinò come stavano le cose e me la rimandò con un bigliettino, dicendo che potevo fidarmi dell’onestà della sua cameriera; potevo esser certa di lei sotto ogni riguardo; lei non prendeva in casa servitori se non era più che sicura della loro lealtà. Io allora mi sentii assolutamente tranquillizzata; e per la verità il modo in cui si comportava quella cameriera era la testimonianza migliore, perché mai capitò in una famiglia una ragazza più educata, tranquilla e brava, come in seguito ebbi modo di comprendere.

Appena stetti bene tanto da poter uscire, andai con la cameriera a vedere la casa e l’appartamento che avrei avuto; tutto era così bello, pulito e in ordine che, a farla breve, io non trovai nulla da ridire, ma fui soltanto magnificamente soddisfatta e lieta di quel che mi capitava, il che, considerato in quale triste situazione mi trovavo, era molto più di quel che io pretendevo.

Ci si potrebbe aspettare che io dessi qualche conto della natura dell’attività perversa di quella donna, nelle cui mani ero adesso caduta; ma sarebbe troppo grande incitamento al vizio il far conoscere al mondo a quali sbrigativi mezzi si faceva ricorso colà per sbarazzare le donne dal non gradito fardello di un figlio avuto segretamente. Quella autorevole matrona aveva diversi sistemi, ed uno in particolare era che, se nasceva un bambino, anche non in casa sua (infatti aveva frequenti occasioni di lavoro in case private), lei aveva sottomano delle persone che per pochi soldi si prendevano il bambino, togliendo ogni preoccupazione a lei e alla Parrocchia; e quei bambini, diceva lei, c’era chi onestamente pensava a mantenerli e ne aveva cura. Che fine facessero tutti quei bambini, considerando quanti erano quelli di cui lei si occupava, è una cosa che io non saprei immaginare.

Ebbi più volte occasione di discorrere con lei di quell’argomento; ma lei era preparata a rispondere che salvava in quel modo la vita di tanti agnellini innocenti, così diceva, che altrimenti sarebbero stati trucidati; e di tante donne che, disperate nella sciagura, avrebbero altrimenti tentato di uccidere i loro bambini e sarebbero finite sulla forca. Io ammettevo che questo era vero, e che era cosa molto lodevole, a patto che i poveri bambini finissero poi in buone mani e non fossero invece maltrattati, fatti morir di fame, derelitti dalle balie che li crescevano. Lei rispondeva che di ciò lei si prendeva sempre gran cura, e non lavorava mai con balie che non fossero persone brave e oneste, e delle quali ci si poteva fidare.

Io non potevo ribatter nulla, ed ero perciò costretta a dire: “Signora, non metto in dubbio che voi facciate onestamente la parte vostra, ma il problema vero è quel che faranno poi quelle persone,” e lei di nuovo mi chiudeva la bocca dicendo che lei ci badava moltissimo.

La sola cosa che mi accorsi di accogliere con repulsione durante quelle conversazioni su tali argomenti fu che una volta, mentre si parlava del fatto che ero già avanti con la gravidanza e stava per giungere l’atteso momento, lei disse qualcosa che aveva l’aria di significare che lei poteva, se io lo desideravo, aiutarmi a liberarmi del mio fardello anche prima; ovvero, in parole chiare, che poteva darmi qualcosa per farmi abortire, se avevo voglia di porre termine in quel modo ai miei fastidi; ma io subito le feci capire che l’idea mi ripugnava; e va detto che lei si tirò indietro così brillantemente che io non avrei potuto dire se davvero me l’aveva proposto o se aveva soltanto accennato a quell’uso come ad una cosa orribile; lei infatti sapeva giocare così bene con le parole, e capiva così in fretta le mie intenzioni, che disse tutto il contrario prima ancora che io riuscissi a spiegarmi.

Per tener questa parte entro i più stretti limiti possibili, dirò che lasciai il mio alloggio a St. Jones e andai dalla mia nuova governante, poiché così la si chiamava in casa, e lì venni trattata con tanta cortesia, fatta segno a tali attenzioni, provveduta talmente di ogni cosa, e il tutto così bene, che non riuscivo sulle prime a capire che convenienza vi trovasse la mia governante; ma mi resi conto in seguito che lei diceva di non guadagnare nulla sul vitto delle pensionanti, e in verità ben poco profitto avrebbe potuto trarne, ma il guadagno le veniva da altre voci della sua attività, e di lì incassava molto, ve lo assicuro; è da non credere infatti quanto lavoro avesse, in casa e fuori, tutto in un certo giro privato, e cioè, in parole chiare, nel giro delle puttane.

Durante il tempo che io rimasi in casa sua, che fu di quasi quattro mesi, furono ricoverate da lei in casa non meno di dodici donne di piacere, e io credo che altre trentadue, all’incirca, ne tenesse in cura fuori casa, e una alloggiava proprio dalla mia vecchia padrona di casa a St. Jones, anche se costei aveva fatto tanto la difficile con me.

Era quella una strana testimonianza dell’avanzata del vizio in quel tempo, al punto che io, per quanto corrotta potessi esser stata fino a quel momento, ne restai intimamente sconvolta. Incominciai a provar disgusto per il luogo dove mi trovavo e, soprattutto, per quell’ambiente di corruzione; eppure devo dire che mai, per tutto il tempo che vi rimasi, vidi colà, né credo vi fosse da vedere, il minimo spettacolo d’indecenza in casa.

Non si vide mai nemmeno un uomo salir di sopra, se non per visitare le donne nei trenta giorni, e sempre erano accompagnati dalla vecchia, che considerava un punto d’onore per la sua casa il fatto che nessun uomo toccasse una donna, neanche se era sua moglie, durante i trenta giorni; e non permetteva a nessun uomo di coricarsi in casa, per nessun motivo, nemmeno se sapeva con certezza che si trattava di sua moglie; diceva sempre che non le importava quanti bambini venissero alla luce in casa sua, ma che non voleva che nemmeno uno fosse incominciato lì, se poteva evitarlo.

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