Moll Flanders (Collins Classics) (34 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

“Ve ne prego, sir,” dice lei, “non figuratevi che la scoperta di quel fatto da parte mia sia elemento della vostra sventura. Fu quella una cosa, secondo me, nella quale voi vi trovaste preso all’improvviso, e forse quella donna usò l’arte sua per adescarvi; ad ogni modo, non avrete mai motivo di dolervi,” dice, “che io sia venuta a saperlo; né a questo riguardo potrete tener la bocca più chiusa di quanto finora l’ho tenuta, e sempre la terrò, io.”

“Bene,” dice lui, “ma lasciatemi render giustizia a quella donna; chiunque sia, vi assicuro che non fece nulla per adescarmi, anzi, cercò di respingermi. Furono la mia incoscienza e la mia follia a mettermi in quella storia; anzi, fui io a tirarci dentro lei; fin qui le devo questo. Quanto poi a quel che lei mi portò via, non potevo attendermi altro, nello stato in cui ero, e fino a questo momento non so nemmeno se fu lei o se fu il cocchiere; se è stata lei, io le perdono, e secondo me tutti i gentiluomini che si comportano così meriterebbero d’essere trattati in quel modo; ma ci sono altre cose delle quali m’importa assai più che di quel che lei mi ha portato via.”

La mia governante era entrata ormai completamente in argomento, e lui le parlò con tutta franchezza. Per prima cosa, lei gli disse, in risposta a quel che lui aveva detto di me: “Sono molto contenta, sir, che voi siate così leale verso la persona con la quale siete andato; vi assicuro che è una signora, non è una donna di strada; e anche se voi siete riuscito ad approfittare di lei fino a quel punto, io so per certo che lei non lo fa per mestiere. È vero, sir, che avete corso un bel rischio; ma se è questo che vi dà pensiero, io sono sicura che potete starvene assolutamente tranquillo, perché vi posso assicurare che nessun uomo, prima di voi, ha toccato quella donna, fin da quando otto anni or sono le è morto il marito.”

A quanto pare, era quella la sua preoccupazione, ed era di quello che aveva una gran paura; così, di quel che la mia governante gli disse, apparve tutto contento, e disse: “Bene, signora, per parlarvi con franchezza, se io di questo potessi esser sicuro, a quel che ho perduto non darei gran valore; per quello, infatti, la, tentazione era grande, e forse quella donna era povera e ne aveva bisogno.”

“Se non fosse stata povera, sir…,” disse la governante, “io vi garantisco che mai vi avrebbe ceduto; e come fu la miseria a comandarle di tollerare che voi faceste quel che faceste, fu sempre la povertà alla fine a comandarle di pagarsi da sé, quando vi vide in uno stato tale che, se non lo faceva lei, poteva magari farlo il primo cocchiere che capitava.”

“Bene,” dice lui, “e che buon pro le faccia. Lo ripeto, tutti i gentiluomini che si comportano così dovrebbero esser trattati in quella maniera, e imparerebbero a star più attenti. Non è di questo che io mi do pensiero, ma dell’altra faccenda che voi avete capito, signora.” E qui affrontò apertamente con lei l’argomento di quel che c’era stato fra noi, cose delle quali per una donna non è bello scrivere, e della gran paura che aveva in corpo per sua moglie, al timore d’aver preso qualcosa da me e di poterlo attaccare a lei; e alla fine domandò alla governante se poteva procurargli l’occasione di incontrarmi. La mia governante gli dette altre assicurazioni del fatto che io ero una donna assolutamente immune da cose del genere, e da quel punto di vista lui poteva esser tranquillo con me come con sua moglie; ma rivedermi, disse, poteva avere conseguenze pericolose; tuttavia, disse, ne avrebbe parlato con me, gli avrebbe fatto sapere la mia risposta, e intanto disse anche qualcosa per persuadere lui a desistere, dicendogli che era inutile, che certo lui non intendeva ricominciare una relazione con me, mentre da parte mia sarebbe stato un po’ come affidare la mia vita nelle sue mani.

Lui disse che aveva un gran desiderio di vedermi, era pronto a dare ogni possibile garanzia che non m’avrebbe fatto nulla di male, e per prima cosa a rilasciarmi una liberatoria generale da ogni sua possibile richiesta. Lei insistette dicendo che, se quel segreto girava troppo, la cosa poteva andare a finir male per lui, e lo supplicò di non ostinarsi; e lui, alla fine, desistette.

Parlarono ancora un po’ delle cose che lui aveva perduto, e lui si mostrò molto desideroso di riavere il suo orologio d’oro, le disse che, se poteva farglielo avere, era disposto a darle in cambio quanto valeva. Lei disse che avrebbe fatto di tutto per trovarglielo, lasciando a lui di fissarne il valore.

Dopodichè, il giorno seguente lei gli portò l’orologio, e lui per quello le dette trenta ghinee, più di quanto avrei mai potuto farci io, anche se c’è da pensare che valesse di più. Lui fece allora un accenno alla sua parrucca, che pare gli fosse costata sessanta ghinee, e alla sua tabacchiera, e pochi giorni dopo lei gli portò anche quelle; del che lui le fu molto grato, e le dette altre trenta ghinee. Il giorno dopo gli mandai gratis la spada e il bastone, senza domandar nulla, ma gli feci sapere che non avevo intenzione di incontrarmi con lui, a meno che lui non avesse nulla in contrario a farmi sapere chi era, cosa che lui invece non voleva.

Allora lui attaccò un lungo discorso con lei, a proposito del modo in cui lei era venuta a conoscenza di tutta la faccenda. Lei gli contò tutta una storia a quel riguardo; era venuta a saperlo da una tale, alla quale io avevo raccontato tutta la storia, e che mi doveva aiutare a disfarmi della roba; e la mia confidente aveva portato la roba a lei, perché lei di mestiere prestava su pegno; e lei, venuta a sapere della disavventura di sua signoria, s’era figurata tutta la storia; e, preso in mano il bandolo, era venuta a cercar di dipanare la matassa. Gli assicurò poi ripetutamente che mai si sarebbe lasciata uscir nulla di bocca e che, anche se conosceva benissimo la donna, non aveva però detto a quella, cioè a me, nulla di nulla, e cioè nemmeno chi era quel gentiluomo, e questa era una bugia; ma a quel signore non ne venne nessun danno, perché io non aprii mai bocca con nessuno.

Io continuavo a far lavorare il cervello a quell’idea di rivederlo, e spesso mi dispiaceva di aver detto di no. Ero convinta che, se lo vedevo, e gli facevo capire che sapevo chi era, potevo sfruttarlo nel mio interesse, magari farmi passare un certo mantenimento; anche se era una vita poco pulita, non era però piena di pericoli come quella che adesso facevo. Quelle idee, tuttavia, mi passarono di mente, e nuovamente rifiutai di incontrarmi con lui, per quella volta; ma la mia governante lo vide spesso, e lui fu sempre molto gentile con lei, e quasi tutte le volte che la vedeva le dava qualcosa. Una volta, specialmente, lei lo trovò tutto allegro, e siccome lui, che aveva tutta l’aria d’avere un po’ di vino in corpo, tornò ardentemente a insistere perché lei gli facesse rivedere la donna che, così diceva, l’aveva stregato quella notte, la mia governante, che fin dal principio era stata dell’idea che io lo dovessi rivedere, gli disse che, di fronte a un desiderio così vivo da parte sua, a lei non restava che cedere, a patto di riuscire a convincere me, aggiungendo che, se lui aveva la cortesia di recarsi a casa sua quella sera, lei avrebbe fatto di tutto per riuscirci, semprechè lui rinnovasse l’impegno di scordare quel ch’era passato.

Dopodichè, venne da me a raccontarmi tutta la conversazione; in breve, non dovette penar troppo per farmi dire di sì, visto che io già ero piena di rimpianti per aver detto di no in precedenza; e così mi preparai all’incontro. Mi vestii con ogni possibile cura, ve l’assicuro, e per la prima volta mi misi un po’ di trucco; dico per la prima volta, perché fino a quel giorno non m’ero mai abbassata a dipingermi, tanto sicura ero della mia bellezza da giudicare di non averne bisogno.

Arrivò all’ora stabilita; e, come la governante s’era accorta, si vedeva benissimo che aveva bevuto un po’, anche se ancora non era affatto quel che si dice sbronzo. Si mostrò straordinariamente lieto di vedermi e cominciò a farmi un lunghissimo discorso a proposito della vecchia faccenda. Io gli domandai più volte perdono per la parte che vi avevo avuto, protestai che non io avevo avuto intenzioni di quel genere quando avevo fatto la sua conoscenza, non sarei andata con lui se non l’avessi giudicato un gentiluomo tanto per bene, e lui m’aveva tanto promesso di non mettermi di fronte a nulla che non fosse per bene.

Lui dette la colpa al vino che aveva bevuto, disse che non aveva capito bene quel che faceva, altrimenti non si sarebbe mai preso con me le libertà che s’era preso. Affermò che non era mai andato con nessuna donna, oltre me, dal giorno in cui s’era sposato, ed era stata una sorpresa per lui; mi fece i complimenti perché ero stata tanto brava con lui, e cose del genere; e continuò a parlare in quel modo, finché io mi accorsi che, a furia di parlare di quello, incominciava già quasi a venirgli la voglia di rifarlo un’altra volta. Io lo presi con le spicce. Protestai che mai avevo permesso a un uomo di toccarmi, fin da quando era morto mio marito, e cioè da quasi otto anni ormai. Lui disse che non lo metteva in dubbio; e aggiunse che madama gliel’aveva già detto in confidenza, e che era proprio quello il motivo per cui gli era venuto il desiderio di rivedermi; e visto che già una volta aveva agito in modo poco virtuoso con me, senza nessuna brutta conseguenza, poteva esser sicuro di non correre rischi se lo rifaceva ancora con me; così, alle corte, finimmo col fare quello che io mi aspettavo, e che non si può dire.

La mia vecchia governante l’aveva previsto, come me del resto, e l’aveva perciò fatto entrare in una stanza dove non c’era il letto ma che comunicava con un’altra stanza, una camera da letto; lì ci ritirammo per il resto della notte; a farla breve, dopo che fummo stati un po’ insieme, lui si mise a letto e vi restò tutta la notte. Io mi ritirai, ma al mattino tornai di nuovo in camera svestita, prima che facesse giorno, e restai a letto con lui tutto il tempo che ci fu.

Vedete a questo modo come l’aver commesso una cattiva azione una volta è un triste aggancio a commetterla di nuovo, mentre ogni rammarico ed ogni ripensamento si dissolvono quando la tentazione si ripresenta. Non avessi io acconsentito a rivederlo, la voglia viziosa gli sarebbe passata, ed è molto probabile che non sarebbe ricascato con nessun’altra, come davvero credo che non gli fosse mai capitato prima.

Quando se ne andò, io gli dissi che speravo stavolta fosse contento di non esser stato derubato. Lui disse che quanto a quello era più che contento, e poteva fidarsi di me, e, messa la mano in tasca, mi dette cinque ghinee, che erano i primi soldi che io mi guadagnassi in quella maniera da molti anni.

Ebbi parecchie sue visite di quel genere, ma lui non giunse mai a fissarmi una specie di mantenimento, che sarebbe stata la cosa che m’avrebbe fatto più piacere. Una volta, per la verità, mi domandò di che vivevo. Prontamente gli risposi che non avevo mai fatto per vivere quel che facevo con lui, ma che lavoravo di cucito, e riuscivo appena a mantenermi; certe volte, pur facendo il massimo che potevo, me la cavavo appena appena.

Lui parve riflettere tra sé che era stato la prima persona a condurmi per una strada dove, mi assicurava, neanche lui aveva mai avuto in mente di avventurarsi; e si sentì commosso, così disse, al pensiero d’esser lui la causa dei miei come dei suoi peccati. Aveva l’abitudine di fare spesso oneste riflessioni sulla brutta cosa che facevamo, e in particolare sulle circostanze che riguardavano lui; e sul come era stato il vino a fargli nascer la voglia, e il diavolo a condurlo in quel luogo e a trovare proprio quel che ci voleva per tentarlo; e alla fine si faceva da solo la predica.

Quando gli venivano tali pensieri in mente, se ne andava, e a volte non tornava per un mese o anche più; ma quando il momento della serietà gli passava, gli veniva il momento del capriccio, e allora arrivava, pronto per il momento del vizio. Così vivemmo per qualche tempo; anche se lui non mi tenne, come si dice, come una vera mantenuta, tuttavia non mancò mai di trattarmi in modo molto bello, sufficiente a me per vivere senza lavorare e senza, ciò che era anche meglio, continuare il mio vecchio mestiere.

Ma anche quella storia arrivò alla fine; infatti, dopo un anno circa, mi accorsi che lui veniva a trovarmi meno spesso del solito, finché smise del tutto, senza un litigio e senza una scena d’addio; e così ebbe fine quel breve periodo della mia vita, il quale non mi servì a metter gran che da parte, se non una ragione di più per pentirmi.

Durante quell’intermezzo, tuttavia, io me ne stetti moltissimo chiusa in casa; almeno, visto che c’era chi pensava a me, non mi misi in altre imprese, addirittura per altri tre mesi buoni dal giorno in cui lui mi lasciò; ma poi, accorgendomi che mancavo di spiccioli, e siccome non m’andava di spendere il grosso, posi mente di nuovo all’antico mestiere, e cioè a battere le strade; e il primo passo che feci fu piuttosto fortunato.

M’ero vestita con un abito molto scadente, perché avevo diverse maniere di farmi vedere in giro, e quella volta portavo un vestito di stoffa ordinaria, un grembiule blu e un cappello di paglia; mi piazzai alla porta della Locanda delle Tre Tazze, nella St. John Street. C’erano di solito parecchi calessi a quella locanda, e la sera si fermavano sempre nella strada le diligenze per Barnet, per Totteridge e per altre città, prima di mettersi in viaggio, e così io ero pronta per cogliere questa o quella fra le occasioni che mi si potevano presentare. L’idea era questa: la gente arrivava di solito a quelle locande con fagotti o con piccole borse, e chiamava il calesse, o la carrozza, come voleva, per farsi portare in campagna; e in genere c’erano delle donne, mogli o figlie di facchini, pronte a prender la roba per conto dei loro uomini che le facevano lavorare.

Accadde per uno strano caso che io ero ferma al cancello della locanda, e una donna, che era lì prima di me, e che era la moglie del facchino addetto alla diligenza di Barnet, mi vide e mi domandò se io aspettavo qualcuno con la diligenza. Io le dissi di sì, aspettavo la mia padrona che arrivava per andare a Barnet. Lei mi domandò chi era la mia padrona, e io le dissi il primo nome che mi venne in mente; ma, a quanto pare, mi capitò di dire un nome che era anche quello di una famiglia che abitava a Hadley, poco più in là di Barnet.

Per un po’, io non le dissi altro, né lei disse nulla a me, ma di lì a qualche tempo, siccome la chiamarono ad una porta un po’ più in là, lei mi chiese il favore, se la cercavano per la diligenza di Barnet, di farla chiamare a quella casa, che pare fosse una birreria. Io le dissi prontamente di sì, e lei se ne andò.

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