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Authors: Dante

Paradiso (63 page)

               
O milizia del ciel cu’ io contemplo,   

               
adora per color che sono in terra

126
         
tutti svïati dietro al malo essemplo!   

               
Già si solea con le spade far guerra;   

               
ma or si fa togliendo or qui or quivi

129
         
lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.

               
Ma tu che sol per cancellare scrivi,   

   

               
pensa che Pietro e Paulo, che moriro   

132
         
per la vigna che guasti, ancor son vivi.

               
Ben puoi tu dire: “I’ ho fermo ’l disiro

               
sì a colui che volle viver solo

               
e che per salti fu tratto al martiro,

136
         
ch’io non conosco il pescator né Polo.”

PARADISO XIX

               
Parea dinanzi a me con l’ali aperte   

   

               
la bella image che nel dolce
frui
   

3
             
liete facevan l’anime conserte;

               
parea ciascuna rubinetto in cui

               
raggio di sole ardesse sì acceso,

6
             
che ne’ miei occhi rifrangesse lui.

               
E quel che mi convien ritrar testeso,   

               
non portò voce mai, né scrisse incostro,

9
             
né fu per fantasia già mai compreso;   

               
ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,   

               
e sonar ne la voce e “io” e “mio,”

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quand’ era nel concetto e “noi” e “nostro.”

               
E cominciò: “Per esser giusto e pio   

               
son io qui essaltato a quella gloria   

15
           
che non si lascia vincere a disio;

               
e in terra lasciai la mia memoria   

               
sì fatta, che le genti lì malvage

18
           
commendan lei, ma non seguon la storia.”   

               
Così un sol calor di molte brage   

               
si fa sentir, come di molti amori

21
           
usciva solo un suon di quella image.

               
Ond’ io appresso: “O perpetüi fiori   

               
de l’etterna letizia, che pur uno

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parer mi fate tutti vostri odori,

               
solvetemi, spirando, il gran digiuno   

   

               
che lungamente m’ha tenuto in fame,

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non trovandoli in terra cibo alcuno.

               
Ben so io che, se ’n cielo altro reame   

               
la divina giustizia fa suo specchio,

30
           
che ’l vostro non l’apprende con velame.

               
Sapete come attento io m’apparecchio

               
ad ascoltar; sapete qual è quello

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dubbio che m’è digiun cotanto vecchio.”

               
Quasi falcone ch’esce del cappello,   

               
move la testa e con l’ali si plaude,   

36
           
voglia mostrando e faccendosi bello,

               
vid’ io farsi quel segno, che di laude

               
de la divina grazia era contesto,

39
           
con canti quai si sa chi là sù gaude.

               
Poi cominciò: “Colui che volse il sesto   

   

               
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso

42
           
distinse tanto occulto e manifesto,

               
non poté suo valor sì fare impresso

               
in tutto l’universo, che ’l suo verbo

45
           
non rimanesse in infinito eccesso.

               
E ciò fa certo che ’l primo superbo,   

               
che fu la somma d’ogne creatura,

48
           
per non aspettar lume, cadde acerbo;

               
e quinci appar ch’ogne minor natura

               
è corto recettacolo a quel bene

51
           
che non ha fine e sé con sé misura.

               
Dunque vostra veduta, che convene

               
essere alcun de’ raggi de la mente

54
           
di che tutte le cose son ripiene,

               
non pò da sua natura esser possente

               
tanto, che suo principio non discerna

57
           
molto di là da quel che l’è parvente.

               
Però ne la giustizia sempiterna   

               
la vista che riceve il vostro mondo,

60
           
com’ occhio per lo mare, entro s’interna;

               
che, ben che da la proda veggia il fondo,

               
in pelago nol vede; e nondimeno

63
           
èli, ma cela lui l’esser profondo.

               
Lume non è, se non vien dal sereno   

               
che non si turba mai; anzi è tenèbra

66
           
od ombra de la carne o suo veleno.

               
Assai t’è mo aperta la latebra   

               
che t’ascondeva la giustizia viva,

69
           
di che facei question cotanto crebra;   

               
ché tu dicevi: ‘Un uom nasce a la riva   

   

               
de l’Indo, e quivi non è chi ragioni

72
           
di Cristo né chi legga né chi scriva;

               
e tutti suoi voleri e atti buoni

               
sono, quanto ragione umana vede,

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sanza peccato in vita o in sermoni.

               
Muore non battezzato e sanza fede:

               
ov’ è questa giustizia che ’l condanna?   

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ov’ è la colpa sua, se ei non crede?’

               
Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,   

   

               
per giudicar di lungi mille miglia

81
           
con la veduta corta d’una spanna?   

               
Certo a colui che meco s’assottiglia,

               
se la Scrittura sovra voi non fosse,   

84
           
da dubitar sarebbe a maraviglia.

               
Oh terreni animali! oh menti grosse!   

               
La prima volontà, ch’è da sé buona,

87
           
da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse.   

               
Cotanto è giusto quanto a lei consuona:   

               
nullo creato bene a sé la tira,

90
           
ma essa, radïando, lui cagiona.”

               
Quale sovresso il nido si rigira   

               
poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,

93
           
e come quel ch’è pasto la rimira;

               
cotal si fece, e sì leväi i cigli,

               
la benedetta imagine, che l’ali

96
           
movea sospinte da tanti consigli.   

               
Roteando cantava, e dicea: “Quali   

               
son le mie note a te, che non le ’ntendi,

99
           
tal è il giudicio etterno a voi mortali.”

               
Poi si quetaro quei lucenti incendi

               
de lo Spirito Santo ancor nel segno   

102
         
che fé i Romani al mondo reverendi,

               
esso ricominciò: “A questo regno   

               
non salì mai chi non credette ’n Cristo,   

105
         
né pria né poi ch’el si chiavasse al legno.

               
Ma vedi: molti gridan ‘Cristo, Cristo!’   

               
che saranno in giudicio assai men
prope

108
         
a lui, che tal che non conosce Cristo;

               
e tai Cristian dannerà l’Etïòpe,   

               
quando si partiranno i due collegi,   

111
         
l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.

               
Che poran dir li Perse a’ vostri regi,   

               
come vedranno quel volume aperto   

114
         
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?   

               
Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto,   

   

               
quella che tosto moverà la penna,

117
         
per che ’l regno di Praga fia diserto.

               
Lì si vedrà il duol che sovra Senna   

               
induce, falseggiando la moneta,   

120
         
quel che morrà di colpo di cotenna.   

               
Lì si vedrà la superbia ch’asseta,   

               
che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,

123
         
sì che non può soffrir dentro a sua meta.

               
Vedrassi la lussuria e ’l viver molle   

               
di quel di Spagna e di quel di Boemme,

126
         
che mai valor non conobbe né volle.

               
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme   

               
segnata con un i la sua bontate,

129
         
quando ’l contrario segnerà un emme.

               
Vedrassi l’avarizia e la viltate   

               
di quei che guarda l’isola del foco,

132
         
ove Anchise finì la lunga etate;

               
e a dare ad intender quanto è poco,   

   

               
la sua scrittura fian lettere mozze,

135
         
che noteranno molto in parvo loco.

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