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Authors: Dante

Paradiso (62 page)

               
La luce in che rideva il mio tesoro   

               
ch’io trovai lì, si fé prima corusca,

123
         
quale a raggio di sole specchio d’oro;

               
indi rispuose: “Coscïenza fusca   

               
o de la propria o de l’altrui vergogna

126
         
pur sentirà la tua parola brusca.

               
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,   

               
tutta tua visïon fa manifesta;

129
         
e lascia pur grattar dov’ è la rogna.

               
Ché se la voce tua sarà molesta   

               
nel primo gusto, vital nodrimento

132
         
lascerà poi, quando sarà digesta.

               
Questo tuo grido farà come vento,   

   

               
che le più alte cime più percuote;

135
         
e ciò non fa d’onor poco argomento.

               
Però ti son mostrate in queste rote,

               
nel monte e ne la valle dolorosa

138
         
pur l’anime che son di fama note,

               
che l’animo di quel ch’ode, non posa   

               
né ferma fede per essempro ch’aia

               
la sua radice incognita e ascosa,

142
         
né per altro argomento che non paia.”   

PARADISO XVIII

               
Già si godeva solo del suo verbo   

               
quello specchio beato, e io gustava

3
             
lo mio, temprando col dolce l’acerbo;   

               
e quella donna ch’a Dio mi menava

               
disse: “Muta pensier; pensa ch’i’ sono   

6
             
presso a colui ch’ogne torto disgrava.”

               
Io mi rivolsi a l’amoroso suono   

               
del mio conforto; e qual io allor vidi   

   

9
             
ne li occhi santi amor, qui l’abbandono:

               
non perch’ io pur del mio parlar diffidi,

               
ma per la mente che non può redire

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sovra sé tanto, s’altri non la guidi.

               
Tanto poss’ io di quel punto ridire,

               
che, rimirando lei, lo mio affetto

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libero fu da ogne altro disire,

               
fin che ’l piacere etterno, che diretto   

               
raggiava in Bëatrice, dal bel viso

18
           
mi contentava col secondo aspetto.

               
Vincendo me col lume d’un sorriso,   

               
ella mi disse: “Volgiti e ascolta;

21
           
ché non pur ne’ miei occhi è paradiso.”

               
Come si vede qui alcuna volta   

               
l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,

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che da lui sia tutta l’anima tolta,

               
così nel fiammeggiar del folgór santo,

               
a ch’io mi volsi, conobbi la voglia

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in lui di ragionarmi ancora alquanto.

               
El cominciò: “In questa quinta soglia   

               
de l’albero che vive de la cima   

30
           
e frutta sempre e mai non perde foglia,

               
spiriti son beati, che giù, prima   

               
che venissero al ciel, fuor di gran voce,

33
           
sì ch’ogne musa ne sarebbe opima.   

               
Però mira ne’ corni de la croce:   

               
quello ch’io nomerò, lì farà l’atto

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che fa in nube il suo foco veloce.”   

               
Io vidi per la croce un lume tratto   

               
dal nomar Iosuè, com’ el si feo;   

39
           
né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.   

               
E al nome de l’alto Macabeo   

               
vidi moversi un altro roteando,

42
           
e letizia era ferza del paleo.   

               
Così per Carlo Magno e per Orlando   

               
due ne seguì lo mio attento sguardo,

45
           
com’ occhio segue suo falcon volando.

               
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo   

               
e ’l duca Gottifredi la mia vista   

48
           
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.   

               
Indi, tra l’altre luci mota e mista,   

               
mostrommi l’alma che m’avea parlato

51
           
qual era tra i cantor del cielo artista.   

               
Io mi rivolsi dal mio destro lato   

               
per vedere in Beatrice il mio dovere,

54
           
o per parlare o per atto, segnato;

               
e vidi le sue luci tanto mere,

               
tanto gioconde, che la sua sembianza   

57
           
vinceva li altri e l’ultimo solere.

               
E come, per sentir più dilettanza

               
bene operando, l’uom di giorno in giorno

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s’accorge che la sua virtute avanza,

               
sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno   

               
col cielo insieme avea cresciuto l’arco,

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veggendo quel miracol più addorno.

               
E qual è ’l trasmutare in picciol varco   

               
di tempo in bianca donna, quando ’l volto

66
           
suo si discarchi di vergogna il carco,

               
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,

               
per lo candor de la temprata stella

69
           
sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.

               
Io vidi in quella giovïal facella   

               
lo sfavillar de l’amor che lì era

72
           
segnare a li occhi miei nostra favella.   

               
E come augelli surti di rivera,   

   

               
quasi congratulando a lor pasture,   

75
           
fanno di sé or tonda or altra schiera,

               
sì dentro ai lumi sante creature   

               
volitando cantavano, e faciensi

78
           
or
D
, or
I
, or
L
in sue figure.

               
Prima, cantando, a sua nota moviensi;

               
poi, diventando l’un di questi segni,

81
           
un poco s’arrestavano e taciensi.

               
O diva Pegasëa che li ’ngegni   

   

               
fai glorïosi e rendili longevi,

84
           
ed essi teco le cittadi e ’ regni,

               
illustrami di te, sì ch’io rilevi

               
le lor figure com’ io l’ho concette:

87
           
paia tua possa in questi versi brevi!

               
Mostrarsi dunque in cinque volte sette   

   

               
vocali e consonanti; e io notai

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le parti sì, come mi parver dette.

               
“DILIGITE IUSTITIAM,”
primai   

   

               
fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;

93
           
“QUI IUDICATIS TERRAM,”
fur sezzai.

               
Poscia ne l’emme del vocabol quinto   

               
rimasero ordinate; sì che Giove   

96
           
pareva argento lì d’oro distinto.

               
E vidi scendere altre luci dove   

               
era il colmo de l’emme, e lì quetarsi

99
           
cantando, credo, il ben ch’a sé le move.   

               
Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi   

   

               
surgono innumerabili faville,   

102
         
onde li stolti sogliono agurarsi,

               
resurger parver quindi più di mille

               
luci e salir, qual assai e qual poco,

105
         
sì come ’l sol che l’accende sortille;   

               
e quïetata ciascuna in suo loco,

               
la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi

108
         
rappresentare a quel distinto foco.

               
Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;   

               
ma esso guida, e da lui si rammenta

111
         
quella virtù ch’è forma per li nidi.

               
L’altra bëatitudo, che contenta   

               
pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,   

114
         
con poco moto seguitò la ’mprenta.

               
O dolce stella, quali e quante gemme   

               
mi dimostraro che nostra giustizia

117
         
effetto sia del ciel che tu ingemme!

               
Per ch’io prego la mente in che s’inizia   

   

               
tuo moto e tua virtute, che rimiri

120
         
ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;

               
sì ch’un’altra fiata omai s’adiri

               
del comperare e vender dentro al templo   

123
         
che si murò di segni e di martìri.

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