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Authors: Dante

Paradiso (59 page)

               
moversi per lo raggio onde si lista

               
talvolta l’ombra che, per sua difesa,

117
         
la gente con ingegno e arte acquista.   

               
E come giga e arpa, in tempra tesa   

   

               
di molte corde, fa dolce tintinno

120
         
a tal da cui la nota non è intesa,

               
così da’ lumi che lì m’apparinno

               
s’accogliea per la croce una melode

123
         
che mi rapiva, sanza intender l’inno.

               
Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,

               
però ch’a me venìa “Resurgi” e “Vinci”

126
         
come a colui che non intende e ode.

               
Ïo m’innamorava tanto quinci,   

               
che ’nfino a lì non fu alcuna cosa

129
         
che mi legasse con sì dolci vinci.

               
Forse la mia parola par troppo osa,   

               
posponendo il piacer de li occhi belli,

132
         
ne’ quai mirando mio disio ha posa;

               
ma chi s’avvede che i vivi suggelli

               
d’ogne bellezza più fanno più suso,

135
         
e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,

               
escusar puommi di quel ch’io m’accuso

               
per escusarmi, e vedermi dir vero:

               
ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,

139
         
perché si fa, montando, più sincero.

PARADISO XV

               
Benigna volontade in che si liqua   

   

   

               
sempre l’amor che drittamente spira,

3
             
come cupidità fa ne la iniqua,

               
silenzio puose a quella dolce lira,   

               
e fece quïetar le sante corde

6
             
che la destra del cielo allenta e tira.

               
Come saranno a’ giusti preghi sorde   

               
quelle sustanze che, per darmi voglia   

9
             
ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?

               
Bene è che sanza termine si doglia

               
chi, per amor di cosa che non duri

12
           
etternalmente, quello amor si spoglia.   

               
Quale per li seren tranquilli e puri   

               
discorre ad ora ad or sùbito foco,

15
           
movendo li occhi che stavan sicuri,

               
e pare stella che tramuti loco,

               
se non che da la parte ond’ e’ s’accende

18
           
nulla sen perde, ed esso dura poco:

               
tale dal corno che ’n destro si stende

               
a piè di quella croce corse un astro

21
           
de la costellazion che lì resplende;

               
né si partì la gemma dal suo nastro,   

               
ma per la lista radïal trascorse,

24
           
che parve foco dietro ad alabastro.   

               
Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,   

               
se fede merta nostra maggior musa,   

27
           
quando in Eliso del figlio s’accorse.

               
“O sanguis meus, O superinfusa
   

   

               
gratïa Deï, sicut tibi cui
   

30
           
bis unquam celi ianüa reclusa?”
   

               
Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;   

               
poscia rivolsi a la mia donna il viso,   

33
           
e quinci e quindi stupefatto fui;

               
ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso   

               
tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo

36
           
de la mia gloria e del mio paradiso.

               
Indi, a udire e a veder giocondo,   

               
giunse lo spirto al suo principio cose,

39
           
ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo;   

               
né per elezïon mi si nascose,   

               
ma per necessità, ché ’l suo concetto

42
           
al segno d’i mortal si soprapuose.

               
E quando l’arco de l’ardente affetto   

               
fu sì sfogato, che ’l parlar discese

45
           
inver’ lo segno del nostro intelletto,

               
la prima cosa che per me s’intese,

               
“Benedetto sia tu,” fu, “trino e uno,

48
           
che nel mio seme se’ tanto cortese!”   

               
E seguì: “Grato e lontano digiuno,

               
tratto leggendo del magno volume   

   

51
           
du’ non si muta mai bianco né bruno,   

               
solvuto hai, figlio, dentro a questo lume

               
in ch’io ti parlo, mercé di colei

54
           
ch’a l’alto volo ti vestì le piume.   

               
Tu credi che a me tuo pensier mei   

               
da quel ch’è primo, così come raia   

57
           
da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;

               
e però ch’io mi sia e perch’ io paia

               
più gaudïoso a te, non mi domandi,

60
           
che alcun altro in questa turba gaia.

               
Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi

               
di questa vita miran ne lo speglio

63
           
in che, prima che pensi, il pensier pandi;

               
ma perché ’l sacro amore in che io veglio

               
con perpetüa vista e che m’asseta

66
           
di dolce disïar, s’adempia meglio,

               
la voce tua sicura, balda e lieta

               
suoni la volontà, suoni ’l disio,   

69
           
a che la mia risposta è già decreta!”

               
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio

               
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno

72
           
che fece crescer l’ali al voler mio.   

               
Poi cominciai così: “L’affetto e ’l senno,   

               
come la prima equalità v’apparse,   

75
           
d’un peso per ciascun di voi si fenno,

               
però che ’l sol che v’allumò e arse,

               
col caldo e con la luce è sì iguali,

78
           
che tutte simiglianze sono scarse.

               
Ma voglia e argomento ne’ mortali,

               
per la cagion ch’a voi è manifesta,

81
           
diversamente son pennuti in ali;   

               
ond’ io, che son mortal, mi sento in questa

               
disagguaglianza, e però non ringrazio

84
           
se non col core a la paterna festa.

               
Ben supplico io a te, vivo topazio   

               
che questa gioia prezïosa ingemmi,

87
           
perché mi facci del tuo nome sazio.”   

               
“O fronda mia in che io compiacemmi   

   

               
pur aspettando, io fui la tua radice”:

90
           
cotal principio, rispondendo, femmi.

               
Poscia mi disse: “Quel da cui si dice   

               
tua cognazione e che cent’ anni e piùe

93
           
girato ha ’l monte in la prima cornice,

               
mio figlio fu e tuo bisavol fue:

               
ben si convien che la lunga fatica   

96
           
tu li raccorci con l’opere tue.

               
Fiorenza dentro da la cerchia antica,   

               
ond’ ella toglie ancora e terza e nona,

99
           
si stava in pace, sobria e pudica.

               
Non avea catenella, non corona,   

               
non gonne contigiate, non cintura

102
         
che fosse a veder più che la persona.

               
Non faceva, nascendo, ancor paura   

               
la figlia al padre, ché ’l tempo e la dote

105
         
non fuggien quinci e quindi la misura.

               
Non avea case di famiglia vòte;   

               
non v’era giunto ancor Sardanapalo   

108
         
a mostrar ciò che ’n camera si puote.

               
Non era vinto ancora Montemalo   

               
dal vostro Uccellatoio, che, com’è vinto

111
         
nel montar sù, così sarà nel calo.

               
Bellincion Berti vid’ io andar cinto   

               
di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio

114
         
la donna sua sanza ’l viso dipinto;   

               
e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio   

               
esser contenti a la pelle scoperta,

117
         
e le sue donne al fuso e al pennecchio.

               
Oh fortunate! ciascuna era certa   

               
de la sua sepultura, e ancor nulla

120
         
era per Francia nel letto diserta.

               
L’una vegghiava a studio de la culla,   

               
e, consolando, usava l’idïoma

123
         
che prima i padri e le madri trastulla;

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