Moll Flanders (Collins Classics) (11 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

Nessun uomo di buon senso apprezzerà meno una donna perché costei non si concede al primo assalto, o perché non accetta la proposta senza indagare sul fisico e sul morale. Nel caso contrario, la giudicherebbe per forza la più debole creatura del mondo, tenuto conto di com’è oggi la media degli uomini. Avrebbe, insomma, una ben misera opinione della capacità, e addirittura della intelligenza, della donna che, disponendo di una carta sola in tutta la vita, la gioca subito e fa del matrimonio quello che è la morte, un salto nel buio.

Mi contenterei che il mio sesso si comportasse meglio in queste occasioni, le quali fra le tante della vita son quelle che, secondo me, ci danno oggi il cruccio più grave. È solo mancanza di coraggio, è solo paura di non maritarsi più, di finire nella spaventosa condizione della zitella, sulla quale avrei tutta una storia da raccontare. È questa, per me, la trappola in cui le donne cadono. Ma se riuscissero una volta a vincere quella paura e a regolarsi saggiamente, troverebbero certo che è più facile scongiurare quel pericolo col puntar i piedi, nell’occasione così essenziale per la loro felicità, anziché col buttarsi via come fanno sempre. Se non si sposeranno in fretta come potrebbero in altro modo ottenere, avranno però il vantaggio di sposarsi meglio. Ci si sposa sempre troppo presto quando ci si piglia un cattivo marito, e non ci si sposa mai troppo tardi quando se ne piglia uno buono. In poche parole, non c’è donna che sapendoci fare non arrivi prima o poi, se non è deforme e se non è malfamata, a maritarsi tranquillamente; ma la donna che si butta a precipizio è perduta, mille contro una.

Ma vengo ora al caso mio, che era in quel tempo abbastanza bellino. La condizione nella quale mi trovavo faceva sì che una richiesta di matrimonio da parte di un buon marito fosse per me la cosa più necessaria al mondo, ma io mi accorsi presto che il modo migliore non era quello di esser di bocca facile e tener giù il prezzo. Presto si venne a sapere che la vedova non possedeva nulla, e questo fu il peggio che si potesse dir di me perché cominciai a esser messa in disparte ogni volta che si parlava di matrimonio. Io ero bene educata, bella, intelligente, garbata e simpatica; ma tutte le qualità che, a torto o a ragione, io attribuivo a me stessa non servivano a nulla senza la moneta che ora valeva molto più della virtù. La vedova non ha soldi, dicevano.

Decisi perciò che, data la situazione in cui ero, mi era assolutamente indispensabile cambiare posizione sociale e fare una nuova apparizione in un posto dove non mi conoscessero, e addirittura presentarmi con un altro nome se era il caso.

Comunicai i miei pensieri alla mia intima amica, la moglie del capitano, che io avevo tanto lealmente aiutato nella sua vicenda con il capitano, e che era pronta ad aiutare nello stesso modo me in qualunque cosa io potessi volere. Non mi feci scrupolo di dirle apertamente le cose come stavano. La mia borsa era in ribasso, perché al termine della mia ultima storia ero rimasta con meno di cinquecentoquaranta sterline, e ne avevo speso una parte. Avevo, comunque, circa quattrocentosessanta sterline, una certa quantità di vestiti molto belli, un orologio d’oro, alcuni gioielli, di valore però non straordinario, e trenta o quaranta sterline di stoffe di lino, delle quali non mi ero ancora disfatta.

La mia cara e fedele amica, la moglie del capitano, mi era tanto grata per l’aiuto che io le avevo dato nella storia di cui s’è detto che non solo nutriva per me una amicizia a tutta prova ma, spesso, conoscendo la mia situazione, mi faceva regali ogni volta che aveva del denaro per le mani, in misura tale che quasi era come se mi mantenesse lei, e io non spendevo nulla del mio. Alla fine fu lei a propormi una cosa poco bella, disse cioè che, poiché gli uomini, come noi avevamo constatato e come ho già detto, non si facevano scrupolo di presentarsi come persone che meritassero di prendere quello che una donna ha, anche se loro non avevano nulla da dare, era giusto trattarli nello stesso modo e, se possibile, imbrogliare gli imbroglioni.

La moglie del capitano mi mise, insomma, quell’idea in testa e mi disse che se mi lasciavo guidare da lei avrei certamente trovato un marito ricco senza dargli il modo di lamentarsi per quel che io non avevo. Io le dissi, com’era logico, che mi sarei messa completamente ai suoi ordini e che non avrei aperto bocca né fatto un passo se non me lo diceva lei, sicura che sarebbe stata capace lei di cavarmi da qualsiasi impiccio nel quale mi dovesse cacciare, e lei rispose che me lo assicurava.

Il primo passo che lei mi fece compiere fu quello di chiamarla cugina, e di andare ad abitare a casa di certi suoi parenti in provincia, dove lei condusse il marito a farmi visita. Chiamandomi cugina, mise le cose in modo che lei e il marito insieme mi invitarono calorosamente ad andare a stare da loro in città, poiché abitavano ora in un posto diverso da quello di prima. Per seconda cosa, lei disse al marito che io avevo un patrimonio di almeno millecinquecento sterline e che grazie ad alcuni miei parenti avrei avuto molto di più.

Bastò che lei dicesse questo al marito; non vi fu bisogno di nulla da parte mia. Io dovetti solo starmene seduta ad attendere gli eventi, perché in tutto il vicinato si sparse subito la voce che la giovane vedova del Capitano… era un ottimo partito, aveva almeno millecinquecento sterline e forse molto di più, l’aveva detto il capitano. Tutte le volte che lo chiedevano al capitano, lui non esitava ad affermarlo, anche se di tutta la storia sapeva solo quello che la moglie gli aveva detto. Non ci vedeva nulla di male, perché ci credeva anche lui, visto che l’aveva saputo dalla moglie: tanto fragili sono le fondamenta sulle quali la gente si mette a costruire, quando crede che sia in gioco una fortuna. Grazie alla fama di quella ricchezza, io mi trovai felicemente circondata dagli ammiratori, ed ebbi da scegliere fra gli uomini, anche se loro dicono d’essere così pochi, il che conferma fra l’altro quel che ho detto prima. Così stando le cose, io, che dovevo giocare d’astuzia, non ebbi altro da fare che individuare fra loro l’uomo più adatto al caso mio: l’uomo, cioè, che più verosimilmente fosse disposto a fidarsi delle chiacchiere sulla mia ricchezza, senza indagare troppo sui particolari. Se non riuscivo a questo non riuscivo a nulla, perché la mia situazione non consentiva troppe indagini.

Pescai il mio uomo senza troppa difficoltà, giudicando dal suo modo di farmi la corte. Lo lasciai buttarsi a dichiarare e a giurare che mi amava su ogni cosa al mondo e che gli bastava che io lo facessi felice; io sapevo che ciò si fondava sulla sua supposizione, anzi sulla sua certezza, che io fossi molto ricca, ma di questo non fui mai io a dirgli nemmeno una parola.

Quello era l’uomo per me, ma dovevo metterlo alla prova fino in fondo, per mia sicurezza. Se lui s’impuntava, io sapevo che ero giocata, come sapevo che era giocato lui se sposava me. Della sua ricchezza non mi facevo nessuno scrupolo, perché sapevo che era per lui il mezzo per pigliarsi una parte della mia. Fingevo, perciò, in ogni occasione, di dubitare della sua sincerità, e gli dicevo che forse lui mi corteggiava solo per la mia ricchezza. Lui mi chiudeva la bocca con un diluvio di proteste, come quelle di cui ho detto, ma io fingevo ancora di dubitare.

Una mattina lui si toglie dal dito l’anello col diamante e scrive sul vetro della finestra della mia camera questo verso:

Sol d’amarti son felice

Io lessi e gli chiesi di darmi l’anello, col quale così scrissi sotto:

Ogni amante, ahimè, lo dice

Lui riprende l’anello e scrive un altro verso, così:

Gran ricchezza è la virtù

Io glielo chiesi di nuovo e scrissi sotto:

Sì, ma l’oro val di più

Lui diventò rosso come il fuoco accorgendosi che ero così svelta a rispondergli, e quasi con rabbia mi disse che mi avrebbe conquistata. Poi scrive:

T’amo, e dell’oro tuo non so che cosa fare

Io rischiai, come vedete, tutto sulla carta della poesia, perché coraggiosamente scrissi sotto il suo ultimo verso:

Poverissima sono. Sentiam che te ne pare.

Era, quello, tristemente vero per me. Non so se lui mi credette o no. Penso di no. Mi venne comunque vicino, mi prese fra le braccia, e, baciandomi con impeto e incredibile trasporto, mi tenne stretta finché mi chiese penna e inchiostro, poi disse che gli dava fastidio scrivere sul vetro e, preso un pezzo di carta, scrisse:

Con la tua povertà, tu sarai mia

Io presi la penna e scrissi immediatamente il seguito:

Ma tu speri ch’io dica una bugia

Lui mi disse che questo non era gentile, perché non era vero, e che io lo costringevo a contraddirmi, cosa che era contraria alla buona educazione e al suo sentimento per me. Così, attirato da me senza che se ne accorgesse in quel gioco di verseggiare, lui mi pregò di non chiedergli di smettere. E scrive ancora:

Solo d’amore dobbiamo parlare

E io scrivo ancora:

È amore già sapersi sopportare.

Lui prese questo per un complimento e depose le armi, vale a dire la penna. Ed era proprio un gran complimento, se lui avesse saputo il resto. Comunque, lui lo prese così. Giudicò, cioè, che io fossi disposta ad andare più in là, e per la verità io avevo le mie buone ragioni per farlo, perché lui era il tipo più allegro e spiritoso che io avessi mai conosciuto, e spesso io riflettevo fra me che era doppiamente disonesto imbrogliare un uomo simile; ma a questo mi costringeva la necessità di trovare una sistemazione adatta alla mia condizione; e, in certo qual modo, il suo affetto per me e il suo buon carattere, mentre da una parte mi dissuadevano quasi dal proposito di fargli una cattiveria, d’altra parte mi facevano seriamente pensare che lui era in grado di sopportare la delusione meglio di uno di quei tipi collerici capaci di farsi notare solo per quel genere di slanci che servono soprattutto a rendere infelice una donna per tutta la vita.

Inoltre, sebbene io avessi tanto spesso celiato (così lui pensava) a proposito della mia povertà, tuttavia, quando lui avrebbe scoperto che era vero, si sarebbe trovata sbarrata ogni via di protesta, rendendosi conto che, per celia o sul serio, lui aveva dichiarato che mi avrebbe sposata senza darsi pensiero della mia dote, e io, per celia o sul serio, avevo dichiarato di essere poverissima. In poche parole, lo tenevo legato mani e piedi; e anche se avesse in seguito potuto dire che s’era ingannato, non avrebbe potuto mai dire che l’avevo imbrogliato io.

Dopo quel fatto lui mi stette ancora più dietro e io, accorgendomi che non correvo il rischio di perderlo, recitai con lui la parte della donna indifferente un po’ più a lungo di quanto, in altra situazione, la prudenza mi avrebbe consigliato. Ma calcolai quale vantaggio quella prudenza e quella indifferenza potevano darmi su di lui quando mi fossi trovata nella necessità di rivelargli le mie condizioni. Feci tutto nel modo più lento, perché capii che da ciò lui poteva immaginare, com’era logico facesse, che io ero ancora più ricca, o più assennata, al punto da non voler correre rischi.

Un giorno che, parlando, eravamo arrivati molto vicini all’argomento, io mi presi la libertà di dirgli che in verità lui mi aveva fatto un vero regalo da innamorato, cioè mi aveva accettato senza indagare sulla mia ricchezza. Gli dissi che io l’avrei adeguatamente ricambiato, avrei cioè indagato a proposito dei suoi beni il minimo ragionevole, ma speravo che mi consentisse di fargli almeno qualche domanda, alle quali poteva rispondere o no, come gli pareva. Una di queste domande si riferiva alla vita che avremmo fatto, e dove avremmo abitato, poiché avevo sentito parlare di una grande piantagione in Virginia e del fatto che lui voleva andare a vivere là, e gli dissi che non mi andava troppo l’idea di essere deportata.

Lui, a quel discorso, prese spontaneamente a mettermi al corrente di tutti gli affari suoi, e mi raccontò in modo molto schietto e franco come stava, tanto che io mi resi conto che se la passava molto bene. Ma la maggior parte dei suoi averi consisteva in tre piantagioni che possedeva in Virginia e che, in linea di massima, gli davano una buona rendita, sulle trecento sterline l’anno; ma potevano darne quattro volte di più, se lui abitava sul posto. “Benissimo,” pensai io, “tu mi ci condurrai prestissimo, anche se non sarò io a parlartene per ora.”

Io feci molte celie sull’aria che doveva avere lui in Virginia; ma, sebbene mi accorgessi che era disposto a fare tutto quel che io desideravo, vidi tuttavia che non gradiva che io sottovalutassi le sue piantagioni, e perciò cambiai discorso. Gli dissi che avevo buone ragioni per non andare a vivere là, perché, se le sue piantagioni valevano tanto, io non ero ricca abbastanza per un signore che aveva milleduecento sterline di rendita all’anno, come lui aveva detto.

Lui generosamente rispose che non mi aveva chiesto quali erano i miei beni; fin dall’inizio mi aveva detto che non l’avrebbe fatto, e avrebbe mantenuto la parola; ma quali che fossero, lui mi assicurò che non avrebbe mai preteso che io andassi in Virginia con lui, né vi sarebbe andato lui da solo, a meno che io stessa l’avessi voluto e scelto da me.

Tutto ciò, potete figurarvelo, era quel che io volevo, e per la verità non mi sarebbe potuto accadere nulla di più gradito. Andai avanti come prima, con quella specie di indifferenza che spesso lo stupiva, ora più di prima, ma che era d’altra parte l’unico modo di farmi fare la corte da lui. Lo dico più di una volta proprio per chiarire alle donne che niente avvilisce più il nostro sesso e lo dispone ad essere maltrattato della mancanza del coraggio di mostrarsi indifferenti. Corressero le donne il rischio di perdere qualche volta un pretendente bellimbusto che si dà arie molto al di là dei suoi meriti, certo sarebbero prese meno alla leggera e avrebbero più corteggiatori. Gli avessi anche rivelato chiaro e tondo quale era la mia grande ricchezza, che io non avevo cinquecento sterline in tutto quando lui se ne aspettava millecinquecento, pure l’avevo preso così bene all’amo e l’avevo fatto ballare per tanto tempo che potevo star tranquilla che m’avrebbe sposata anche nelle condizioni peggiori. E in realtà fu per lui una sorpresa minore di quel che avrebbe potuto essere, quando seppe la verità, perché siccome non poteva rivolgere il minimo biasimo a me, che avevo mantenuto fino all’ultimo la mia aria di indifferenza, non ebbe nulla da dire, se non che effettivamente aveva creduto che fosse di più, ma anche se era meno non si pentiva dell’affare fatto; gli dispiaceva solo perché non avrebbe potuto mantenermi bene come era stata sua intenzione.

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