Moll Flanders (Collins Classics) (19 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

Una mattina ebbi l’idea di andar io alla banca dove ero stata parecchie volte a riscuotere gli interessi di certi miei titoli, che si pagavano lì, e dove avevo trovato molto cortese e corretto con me l’impiegato al quale mi rivolgevo, addirittura così bravo che, una volta che io m’ero sbagliata a contare il denaro e me ne stavo andando con meno di quanto mi veniva, mi fece rifare il conto e mi dette il resto, che poteva benissimo mettersi in tasca lui.

Andai da lui, gli descrissi con chiarezza il mio caso e gli domandai se non gli dispiaceva far da consulente per me, povera vedova senza amici, che non sapevo che cosa fare. Lui mi disse che, se volevo il suo parere per qualcosa che era nell’ambito del suo lavoro, non solo avrebbe fatto del suo meglio per evitarmi d’essere imbrogliata, ma mi avrebbe inoltre messa nelle mani di una brava e onesta persona, un uomo serio di sua conoscenza che era impiegato nello stesso ramo d’affari, anche se non nella stessa banca, e che era persona giudiziosa, della cui onestà potevo fidarmi.

“Infatti,” aggiunse, “rispondo io per lui, per tutto quel che farà. Se vi dovesse imbrogliare di un solo quattrino, signora, venite pure a richiederlo a casa mia, garantisco io. Lui è sempre lieto di assistere la gente in situazioni simili, lo fa per compiere una specie di atto di carità.”

A quel discorso io rimasi un po’ in forse, ma, dopo un momento di silenzio, gli dissi che io avrei preferito fidarmi di lui, perché avevo capito che era una persona onesta; tuttavia, se ciò non era possibile, ero pronta ad accogliere la sua raccomandazione più volentieri di quella di chiunque altro.

“Oso dire, signora,” dice lui, “che sarete contenta del mio amico come di me stesso, e lui potrà darvi un’assistenza completa, mentre io non posso.”

Pare, infatti, che fosse tutto preso dal suo lavoro in banca e si fosse impegnato a non occuparsi di affari estranei al suo ufficio, ma io venni a saperlo in seguito, allora non me ne resi conto. Lui aggiunse che il suo amico, per il suo aiuto e per la sua assistenza, non voleva nulla, e questo per la verità mi incoraggiò piuttosto.

Mi fissò un appuntamento per quella sera stessa, dopo la chiusura della banca e la fine del lavoro, per incontrare lui e il suo amico. E per la verità, appena vidi il suo amico, e appena costui ebbe incominciato a parlar della questione, io fui pienamente convinta che avevo a che fare con una persona onestissima. Il suo aspetto bastava a dirlo, e la sua fama, come poi venni a sapere, era così buona dappertutto da non darmi motivo di avere più dubbi.

Dopo il primo incontro, nel quale io dissi soltanto quello che avevo già detto, ci salutammo, e mi dette appuntamento da lui per il giorno dopo, dicendomi che potevo nel frattempo prendermi la soddisfazione di assumere informazioni, cosa che io comunque non sapevo bene come fare, perché non avevo conoscenze.

Lo vidi, come d’accordo, il giorno dopo, e gli parlai allora più apertamente della mia situazione. Gli raccontai la mia storia all’ingrosso: ero una vedova arrivata dall’America, completamente sola e senza amici. Avevo un po’ di denaro, ma soltanto un poco, ed ero sconvolta al pensiero di perderlo, perché non avevo un amico al mondo al quale affidarne la cura; stavo per trasferirmi nel nord dell’Inghilterra, per vivere in economia, in modo da non dissipare il mio peculio; volentieri avrei collocato in banca il mio denaro, ma non osavo portare i titoli addosso a me, e così via, come ho già detto; e non sapevo come disporne né per mezzo di chi.

Lui mi disse che potevo mettere il denaro in banca aprendo un conto, e, siccome lo segnavano a libro, io avevo in qualunque momento diritto di prelevarlo, e se andavo nel nord potevo scrivere un assegno per il cassiere e riscuoterlo quando volevo; ma, in quel caso, si sarebbe trattato di un conto corrente, e la banca non mi avrebbe dato l’interesse. Potevo acquistare delle merci, e farmele tenere in magazzino, ma in tal caso, se avessi voluto disfarmene, avrei dovuto venire appositamente in città per venderle, e avrei incontrato anche difficoltà nel riscuotere il dividendo semestrale se non mi trovavo lì di persona e se non avevo qualche amico di cui potermi fidare al punto da mettere a suo nome le merci perché se ne occupasse lui per me; col che eravamo al punto di prima; e a quel punto lui mi fissò e fece un sorriso. Alla fine dice: “Perché, signora, non vi prendete un amministratore che si occupi di voi e del vostro denaro, e vi porti via ogni noia?”

“Sissignore, e magari anche il denaro,” dico io, “perché in verità mi pare che a questo modo il rischio sia tale e quale era nell’altro modo.” Ma mi ricordo che fra me dissi: “Se me lo domandavi davvero, ci pensavo su seriamente prima di dirti di no.”

Lui seguitò a parlarmi, con belle maniere, e un paio di volte io pensai che parlasse con intenzione, ma con vero dispiacere seppi infine che aveva moglie; lui però, quando ammise di aver moglie, scosse il capo e disse con un certo turbamento che in verità la moglie l’aveva e non l’aveva. Io incominciavo a pensare che fosse nella situazione del mio ultimo amante, che sua moglie fosse malata o pazza, o qualcosa del genere. Tuttavia non ne discorremmo oltre per quella volta, lui mi disse che aveva troppe cose urgenti da sbrigare in quel momento ma che, se io andavo a casa sua dopo il lavoro, poteva allora riflettere su quel che era meglio fare per me e per mettere al sicuro i miei interessi. Io dissi che ci sarei andata e gli chiesi dove abitava. Lui mi mise per iscritto l’indirizzo, e consegnandomelo me lo lesse ad alta voce, e disse: “Ecco qui, signora, se vi fidate di mettervi in mano mia.”

“Sissignore,” dico io, “posso arrischiarmi a mettermi in mano vostra, perché voi avete moglie, come avete detto, e io non cerco marito; inoltre, io mi fido di mettere in vostre mani il mio denaro, che è tutto quanto ho al mondo, e se mi sparisse quello, chissà allora in che mani andrei a finire.”

Lui disse per celia alcune cose belle e garbate, e mi avrebbe fatto gran piacere se le avesse dette con intenzione; ma la cosa finì lì, io presi l’indirizzo e stabilii che sarei andata a casa sua alle sette di quella stessa sera.

Quando arrivai, lui mi fece diverse proposte per il collocamento in banca del mio denaro, al fine che io ne ricavassi un interesse; ma saltavano sempre fuori una difficoltà oppure un’altra, e lui scartava ogni soluzione dicendo che non davano sicurezza; e io scopersi in lui un’onestà così disinteressata che presi a rallegrarmi in cuor mio perché avevo senza dubbio trovato l’onestuomo di cui avevo bisogno e mai avrei potuto sperare di capitare in mani migliori. Gli dissi perciò con assoluta franchezza che fino a quel momento io non avevo mai conosciuto né un uomo né una donna di cui potermi fidare, o con cui potermi considerare al sicuro, ma ora mi rendevo conto che lui si preoccupava con tale disinteresse della mia sicurezza che io mi sentivo, dissi, di metter completamente in mano sua la cura di quel poco che avevo, se lui accettava di assumere l’incarico di amministratore per una vedova povera che non era in grado di passargli uno stipendio.

Lui sorrise e, levatosi in piedi, mi salutò con ogni riguardo. Disse che non poteva fare a meno d’essere lietissimo del fatto che io avevo una così buona opinione di lui; non voleva deludermi, era pronto a far tutto quanto era in suo potere per essermi utile, e non chiedeva stipendio; non poteva però a nessun patto accettare un vero e proprio mandato, poiché ciò avrebbe potuto far nascere il sospetto che lui vi trovasse il proprio tornaconto, e se io morivo lui poteva aver delle beghe con i miei eredi, cosa nella quale gli ripugnava trovarsi immischiato.

Io gli dissi che, se eran tutte lì le sue obiezioni, potevo facilmente toglierle di mezzo e convincere lui che non v’era motivo di temere la minima difficoltà; quanto al primo punto, infatti, e cioè al sospettar di lui, se mai io avessi dovuto farlo, sarebbe stato questo il momento giusto per nutrir sospetti nei suoi confronti invece di affidargli in mano ogni cosa, e se poi mi fossi messa in sospetto in seguito, lui avrebbe sempre potuto disimpegnarsi allora, e rifiutarsi di continuare. Quanto al secondo punto, riguardo cioè agli eredi, io gli assicuravo che non avevo in Inghilterra né eredi né parenti, e che non intendevo avere altri eredi o esecutori testamentari se non lui medesimo, a meno che mi capitasse di mutar condizione prima della mia morte, poiché in quel caso il suo mandato e i suoi fastidi avrebbero avuto fine insieme, ma di ciò per il momento non avevo alcuna prospettiva. Gli dissi che, se morivo com’ero, sarebbe tutto divenuto suo, e lui l’avrebbe ben meritato con un comportamento leale, quale io ero certa che sarebbe stato il suo.

A queste parole lui mutò contegno, mi chiese come mai io ero giunta ad essere così ben disposta nei suoi riguardi; e, mostrandosi molto compiaciuto, mi disse che in fede sua il suo desiderio più grande sarebbe stato, per amor mio, di essere scapolo. Io sorrisi e gli dissi che, siccome lui celibe non era, la mia proposta non poteva sottintendere nessun progetto al riguardo, e il desiderio che lui confessava non era lecito, perché era ingiusto e cattivo nei riguardi di sua moglie.

Lui mi disse che mi sbagliavo. “Infatti,” dice, “signora, come già vi ho detto, io la moglie ce l’ho e non ce l’ho, e non sarebbe peccato da parte mia desiderare di vederla impiccata, fosse tutto lì.”

“Io non so nulla degli affari vostri a questo riguardo, signore,” dico io, “ma non può esser giusto desiderare la morte di vostra moglie.”

“Vi dico,” dice di nuovo lui, “che è mia moglie e non lo è; voi non sapete quel che sono io, né quel che è lei.”

“È vero,” dissi io, “signore, io non so quel che siete, Penso però che siate un uomo onesto, e questa è la ragione della mia fiducia in voi.”

“Bene, bene,” dice lui, “e tale io sono, o almeno lo spero. Ma, signora, sono anche qualcos’altro; insomma,” dice, “per parlarvi chiaro, io sono un becco, e lei è una puttana.” Parlò come se stesse scherzando, ma con un sorriso così triste che io mi accorsi che la cosa gli pesava molto, e parlarne gli dava un’aria infelice.

“Questo per la verità cambia la situazione, signore,” dissi io, “rispetto a quel che dicevate prima; ma un becco, voi lo sapete, può essere un uomo onesto; rispetto a ciò, non cambia nulla. Inoltre io penso,” dico io, “che se vostra moglie è stata così disonesta con voi, voi siete troppo onesto con lei a tenerla ancora per vostra moglie; ma ciò,” dico io, “è cosa che non riguarda per nulla me.”

“Certo,” dice lui, “io vorrei potermi lavar le mani di lei; per parlarvi chiaro, signora,” aggiunse, “io non sono affatto un becco contento; d’altra parte, vi garantisco che la cosa mi esaspera in sommo grado, ma non posso farci nulla: chi è puttana, è puttana.”

Io sviai il discorso e presi a parlare degli affari miei; ma mi accorsi che lui non aveva finito, e perciò lo lasciai fare; e lui continuò a narrarmi le circostanze del suo caso, troppo lunghe da riferire qui; in particolare che, essendo rimasto lui per qualche tempo lontano dall’Inghilterra prima di ottenere il posto che adesso aveva, lei aveva frattanto avuto due figli da un ufficiale dell’esercito; e quando lui, tornato in Inghilterra, ebbe accettato l’atto di sottomissione di lei, l’ebbe ripresa e mantenuta con ogni agio, lei gli scappò di nuovo con il garzone di un mercante di tessuti, gli rubò tutto quel che riuscì a prendere, e ancora adesso viveva per suo conto, lontana da lui. “Al punto che, signora,” dice lui, “è puttana non per il bisogno, che è l’esca solita alla quale abbocca il vostro sesso, ma per indole e per vizio.”

Bene, io lo compatii, gli augurai di potersi liberare di lei, e avrei voluto parlare ancora degli affari miei, ma non fu possibile. Alla fine lui mi guarda fisso. “Sentite, signora,” dice, “voi siete venuta a chiedermi consiglio, e io vi aiuterò lealmente, come se foste mia sorella; ma ora dobbiamo scambiarci le parti, poiché voi siete così gentile, così amichevole con me, e io penso di dover chiedere a voi un consiglio. Ditemi, come deve comportarsi con una puttana un poveruomo maltrattato? Che cosa posso fare per ottenere giustizia contro di lei?”

“Ahimè, signore,” dico io, “è un caso troppo curioso perché io possa darvi un consiglio, ma a quanto pare lei è scappata, vi ha lasciato, voi vi siete già bellamente liberato di lei; che cosa volete ancora?”

“Sì, se n’è andata, è vero,” dice lui, “ma non per questo io posso dirmi libero.”

“Quest’è vero,” dico io, “lei può far debiti in vostro nome, ma la legge vi ha fornito i mezzi per prevenire ciò prima che accada; potete farla, come si dice, diffidare.”

“No, no,” dice lui, “nemmeno di questo si tratta; di tutto ciò mi sono già occupato; non è di questo che parlo, ma vorrei riuscire a liberarmi di lei così da potermi ammogliare di nuovo.”

“Bene, signore,” dico io, “allora dovete divorziare. Se potete provare quel che dite, otterrete certamente il divorzio, e allora, mi pare, sarete libero.”

“È una cosa noiosa e costa molto,” dice lui.

“Ma,” dico io, “se voi da una donna che vi piace ottenete che accetti la vostra parola, io immagino che vostra moglie non vorrà contestarvi il diritto a quella libertà che lei stessa si prende.”

“Ah!” dice lui, “ma sarebbe difficile convincere una donna per bene; e quanto alle donne dell’altro tipo,” dice, “ne ho avuto abbastanza di quella per aver voglia di mettermi con altre puttane.”

Subito mi venne in mente: “Io ti avrei detto sì di tutto cuore, se soltanto me l’avessi domandato,” ma lo pensai dentro di me. A lui risposi: “Ma così voi sbarrate la porta a qualsiasi donna per bene che volesse accettarvi, perché condannate già tutto quel che vi potrebbe capitare, e stabilite che se una donna è disposta a sposare voi significa che non è una donna per bene.”

“Ecco,” dice lui, “vorrei che riusciste a convincermi voi del fatto che una donna per bene può accettare me. Io correrei il rischio.” E bruscamente si rivolge a me dicendomi: “Signora, volete sposarmi?”

“Questa non è una gran bella domanda,” dico io, “dopo quanto avete detto. Tuttavia, perché non pensiate che io aspetti solo di farmela porre di nuovo in forma diversa, vi risponderò con chiarezza: No, io no. I miei affari con voi son d’altro genere, e io non mi aspettavo che le serie intenzioni con le quali io mi sono rivolta a voi, nella mia sventurata situazione, voi le buttaste in commedia.”

“Ma signora,” dice lui, “il mio caso è sciagurato quanto il vostro, e io son qui che ho bisogno al pari di voi di consiglio, perché non vedo via d’uscita, rischio di ammattire, non so che decisione prendere, ve l’assicuro.”

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