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Authors: Sarah Langan

Virus (14 page)

Un tempo ci si aspettava grandi cose da Albert. Aveva in mente nuovi treni per il trasporto di massa a Los Angeles, e progetti di parchi sulla costa collegati alle tangenziali in Florida. Invece sarebbe morto giovane, e in disgrazia.

«Non è giusto, vero?» domandò Fenstad.

Albert sbatté le palpebre, e rimasero entrambi in silenzio. Poi sussurrò così piano che avrebbe potuto essere uno dei suoi tic: «Mettimi il cuscino sulla faccia. Così sarò morto e il mio sapore non gli piacerà».

Fenstad gli lasciò andare la mano. «Cerca di riposare. Torno a trovarti domani».

«Tic-tac! Ancora una settimana e morirete tutti!» sputò fuori Albert. La saliva gli schizzò dal buco tra i denti.

«Non vive nel bosco, Albert. È dentro di te. Vive dentro di te.»

Sulla guancia di Albert scivolò un'altra lacrima. «È reale. Vedrai. Il cuscino, per favore.»

Fenstad si bloccò un istante. C'era qualcosa nel suono della voce di Albert. Qualcosa di minaccioso, come un déjà-vu, come un cane che abbaia. Scosse la testa, girò sui tacchi e si diresse verso la porta. «Cerca di riposare» disse mentre usciva.

 

Fenstad raggiunse Meg all'accettazione. Aveva di nuovo i capelli dritti, e aveva sostituito il bottone mancante sulla camicetta con una spilla da balia. Insieme lasciarono l'ospedale. Lui camminava lentamente mentre lei si trascinava sull'asfalto. «Vado a prendere la macchina» disse lui, ma lei indicò le stampelle con un cenno della testa.

«Devo imparare a usarle. Dovrò conviverci per i prossimi sei mesi.»

Era calata la notte, e il parcheggio era buio. Meg grugniva ad ogni passo, ma lui la conosceva troppo bene per offrirsi di portarla in braccio. Quando ebbero raggiunto la Cadillac Escalade, lei si issò sulla doppia predella, lasciandosi sfuggire una smorfia di dolore, e lui si rese conto che la borsite doveva procurarle un dolore cocente. Vanità, pensò, il tuo nome è Meg Wintrob.

Mentre in auto passavano davanti ai negozi illuminati lungo la Fortier Street, lui disse: «Hai preso un po' di codeina?».

Lei guardò dritto davanti a sé. «Ho dovuto. Faceva troppo male.»

«Be', sì. Da come stai sudando direi che fa
ancora
male.»

Lei non rispose, e lui non aggiunse altro. Giunti davanti a casa, lei non si mosse per scendere dalla macchina. La bici di Maddie non era in garage, il che significava che era al Puffin Stop con il suo ragazzo, cosa per la quale avrebbe dovuto in teoria chiedere il permesso. «So cosa stai pensando» disse Meg.

«Davvero?» Possibile che avesse indovinato ciò che lui aveva immaginato su Graham Nero?

Il tono di lei era pragmatico, con un pizzico di rabbia. «È tutta colpa mia. Non avrei dovuto permettere ad Albert di stare in biblioteca. Non voglio neanche immaginare cosa pensino quei genitori di me.»

Lui sospirò. «Un pazzo ti ha scaraventata contro il muro. Nessuno darà la colpa a te.»

«Ma tu lo sapevi che sarebbe successo. Mi avevi avvertita.»

«Sono solo contento che non sia tu a essere attaccata a quella flebo di morfina.»

Lei si passò una mano sugli occhi, e lui dapprima pensò fosse un prurito, ma poi si rese conto che piangeva. A questo sapeva reagire con una certa dose di competenza. Scivolò lungo il sedile in pelle e la strinse a sé. Inizialmente lei si irrigidì, ma poi si lasciò andare. Si pulì il naso con il dorso della mano. «Tieni» disse lui. Sforzandosi di essere cavalleresco, le offrì la manica della sua camicia. Si sorrisero, e poi lei scoppiò in un'altra crisi di pianto.

«Ho avuto paura.» Lo disse con il volto schiacciato contro il petto di lui.

Lui annuì:
Ho avuto paura anch'io
,
pensò, anche se non lo disse.
Ce l'ho ancora.

«Volevo telefonarti. Volevo vederti. Non riuscivo a pensare ad altro mentre succedeva. Non è sciocco?»

Lui sentì sciogliersi il nodo di tensione che lo stringeva da dentro. Per la prima volta da tanto tempo, si sentì... bene. «No» rispose, «non è sciocco.»

Mentre lei piangeva, lui fissava la villetta in stile vittoriano della quale si era innamorato fin dal primo giorno in cui ci si erano trasferiti quindici anni prima, e il giardino, che solo da poco aveva perso i suoi fiori, e la donna bellissima tra le sue braccia. Si domandò se, malgrado tutto ciò che era successo tra di loro, le cose potessero ancora funzionare. Forse, pensò. Forse sì.

 

8.

La fame

 

Danny Walker stava guardando il suo programma preferito,
Elimidate.
Se volevi assistere a una catastrofe, potevi lasciar perdere Jerry Springer: questo li batteva tutti. Nella mezz'ora di show di quella sera, tre fighette cacciavano a turno la lingua in bocca a un magro bifolco di Duluth. Il bifolco doveva eliminare dallo show quella che baciava peggio. Poi lui e la sua scuderia residua di puttanelle avrebbero sguazzato in una Jacuzzi. Con un po' di fortuna, nella doppia competizione per essere più figa e dotata di minore autostima, si sarebbero messe in topless. In quel preciso momento erano tutti evidentemente brilli, e questo un po' spiegava perché se ne infischiassero di comportarsi da degenerati sulla tv nazionale. O forse, nel Paese del white trash, era questo che passava per celebrità.

Per mantenere vivo l'interesse, Danny cominciò a immaginare cosa avrebbe fatto alle ragazze se si fosse trovato nei panni del bifolco. Erano tutte e tre bionde, con bocce a grandezza innaturale che immaginava fossero protesi. Sapeva che il silicone avrebbe dovuto fargli schifo, ma quelle sei tette dritte lo eccitavano parecchio.

Teneva in grembo il telefono cordless, da un momento all'altro i suoi genitori avrebbero potuto chiamare per informarlo di James, motivo per cui questa sera si era fatto una sega sola. E poi, chi l'avrebbe mai detto, era davvero preoccupato per quella testa di cazzo.

Alla tv, la biondina più sexy sembrava avere un po' di pancetta, così dopo il giro di pomiciate le altre ragazze le diedero della scrofa. Per tutta risposta, lei cacciò fuori la lingua, sollevò il top e colpì tra pollice e indice il diamante sull'anello che portava all'ombelico, ritenendo evidentemente che si trattasse di una riposta trenchant. Poi le altre ragazze cominciarono ad assestarle pacche sulla ciccia della pancia, e arrivarono prossime alle mani. «Signore, non litigate! Ne ho per tutte e tre» annunciò il bifolco, e per Danny fu la prova definitiva che era fatto, perché quando mai in tutta la sua miserabile vita gli sarebbe più capitato che tre ragazze litigassero per lui? Quella delle risse tra donne era la parte di
Elimidate
che preferiva. Le ragazze si facevano a pezzi per aggiudicarsi sfigati ai quali normalmente non avrebbero permesso nemmeno di pagare il conto della cena.

Alla fine, il bifolco eliminò quella più sexy perché a suo dire era troppo imbottita. «Coglione» gli gridò Danny, lanciando una patatina stantia contro lo schermo. Mentre la scaraventava si appoggiò inavvertitamente al pulsante viva-voce del cordless, e nella stanza risuonò il segnale di libero che per un nanosecondo lui scambiò per uno squillo. Per un momento provò la sincera speranza che suo padre fosse in linea per dirgli qualcosa di James. Niente da fare. Danny spense il cordless e sprofondò di nuovo sul divano. Non poteva che essersi perso, giusto? James era troppo schizzato perché a qualcuno venisse in mente di rapirlo. Cristo santo, una volta aveva ammazzato un coniglio, anche se nessuno voleva ammetterlo. Quel ragazzino era totalmente fuori di testa.

D'altra parte, James era piccolo, e non aveva molto buon senso. Il mese scorso aveva versato spremuta d'arancia sui cereali perché il latte era finito. Era rimasto scioccato quando se n'era messo in bocca un cucchiaio solo per scoprire che sapevano di piscio. E quel sapore lui lo conosceva bene...

A
Elimidate
,
quattro tette finte galleggiavano a pelo d'acqua nella Jacuzzi come i soldati di
Apocalypse Now.

Avrebbe dovuto comportarsi meglio con James. Miller e Felice lo consideravano demente, quindi il ragazzino partiva già svantaggiato. Non avrebbe dovuto tormentarlo tutte le volte che aspettavano l'autobus insieme alla fermata. Avrebbe dovuto dargli dei buoni consigli ogni tanto, per esempio dirgli che il professor Crozzier, che lo aveva bocciato, aveva la fissa dei compiti facoltativi. Se volevi una pagella piena di «distinti», bastava buttar giù una ricerca di due paragrafi sugli indiani irochesi, o su Balto il cane prodigio, ed era fatta. Ma Danny non gli aveva mai rivelato quel trucchetto, e James era stato bocciato due volte.

Danny si cacciò in bocca una patatina unta. E se James fosse stato ferito, o addirittura ammazzato? Era possibile. Non gli piaceva pensarlo, ma ormai il ragazzino mancava da nove ore. Se fosse accaduto il peggio, Miller l'avrebbe sfangata comunque. Per un po' tempo si sarebbe bevuto un quarto di scotch in più al club e avrebbe fatto licenziare un po' di gente alla scuola, ma l'avrebbe sfangata. Felice, per contro, avrebbe avuto un altro esaurimento nervoso. Il primo era stato poco dopo la nascita di James. L'avevano portata via a bordo di un furgone con le pareti imbottite, e questo forse spiegava perché nessuno aveva tanto esultato per l'ingresso di James nel mondo. I suoi pianti da colica erano stati l'ultima goccia che aveva fatto traboccare Felice Walker da permanentemente nervosa a pazza furiosa. Il giorno in cui i lettighieri l'avevano portata via, non riconosceva più il figlio di tre mesi, né Miller, e nemmeno Danny. Danny non aveva mai dimenticato il male che gli aveva fatto salutarla con la mano e non vederla rispondere al saluto. Una parte di lui la odiava ancora adesso per questo.

Quando a scuola i compagni volevano farlo incazzare, bastava che gli dicessero: «Tua mamma è fuori di testa» e lui dava di matto. Ma la gran parte di loro sapeva che non era il caso di rompergli le palle. L'ultimo a provarci era stato Pete O'Donnell, due anni fa, e Danny gli aveva spaccato il naso. Felice prendeva ancora manciate di pastiglie, e durante la cena o quando la sera tardi guardavano in tv qualche vecchia replica, che avesse o non avesse bevuto, lei si perdeva con lo sguardo nel vuoto.

James non era di grande aiuto in casa, quindi ricadeva praticamente tutto sulle spalle di Danny. Con suo padre gli toccava la parte dell'alleato, anche se Miller era un idiota. Al country club, a Miller piaceva collezionare i numeri di telefono delle cameriere irlandesi e poi strizzare l'occhietto a Danny, come se scopare in giro fosse un bello scherzetto che faceva alla mamma. Toccava sempre a Danny lavare i piatti e chiedere a Felice com'era andata la giornata perché nessun altro se ne dava la pena.

Danny gemette. James. Che fine aveva fatto? Non era mai stato gentile con il ragazzino, per questo era così snervante desiderare stesse bene. James era suo fratello e non aveva importanza che non si somigliassero, o che il ragazzino fosse un po' tardo. Danny gli era comunque affezionato.

Proprio in quel momento sentì bussare alla porta. James? No, lui non avrebbe bussato. Gli sbirri? Forse avevano trovato il corpo di James nei pressi del fiume, o nella sala delle torture nel seminterrato di qualche omosessuale. Oppure avevano pescato lo stronzetto a ingozzarsi tranquillamente di ciambelle ammuffite al Puffin Stop insieme ai tossici e ai domestici mangia-tacos che aspettavano l'ultimo autobus fuori da Corpus Christi. Dio, sperava tanto che fosse a mangiare ciambelle. Sul serio.

Danny aprì la porta, ma non trovò nessuno. Uscì nel buio della notte. I lampioni della strada gettavano la loro luce giallognola e sbiadita in tutte le direzioni. Sulla strada passava qualche macchina. Faceva fresco quella sera, e Danny non aveva addosso il maglione. Cominciò a tremare e pensò di tornare dentro, ma là fuori poteva esserci James. Forse aveva paura a tornare a casa perché in quel bosco oggi aveva fatto qualcosa di peggio che ammazzare un coniglio. E allora cosa avrebbero fatto? Assunto un avvocato? Pagato un giudice sottobanco perché James crescesse convinto di poterla sempre passare liscia? Per la prima volta da parecchio tempo, Danny si chiese se il denaro di Miller fosse una fortuna o una maledizione.

Danny fece il giro della casa. Era la più grande della città, ma il terreno intorno era circoscritto. La mattina si sentivano i Wintrob nella casa accanto litigare con Maddie. Non era sua abitudine usare l'espressione 'scherzo di natura', ma per la miseria, se la cercavi sul dizionario ci trovavi la foto di Maddie Wintrob con la sua chioma viola.

Danny si portò le mani a megafono ai lati della bocca. «James!» urlò, ma non rispose nessuno. Poi sorrise, perché uno dei cespugli di cicuta davanti alla casa si muoveva, come se ci fosse qualcuno nascosto dentro. «James, va tutto bene» gridò mentre si dirigeva verso il cespuglio. «Non sono arrabbiato, giuro. Sono tutti troppo preoccupati per arrabbiarsi.»

Avvicinandosi parlava a un volume sempre più smorzato, per cogliere il ragazzino alla sprovvista. Gli tornò in mente quand'erano piccoli e lui faceva finta di essere Michael Myers di
Halloween.
Girava per la casa in punta di piedi, senza aprire bocca, mentre James scappava a gambe levate. Inevitabilmente, James finiva disorientato con le spalle al muro. E Danny a quel punto lo raggiungeva con passo tranquillo, calmo come il Babau, e gliele suonava.

«La mamma e il papà si sono preoccupati davvero» continuò Danny. «La mamma sarà così contenta di rivederti che probabilmente ti comprerà un coniglio.»

Il cespuglio che prima si agitava si fece immobile. Danny era vicino quanto bastava. Con un gesto rapido scostò i rami e - sì! - ecco James, acquattato. Cazzo, sì, lo aveva trovato! Avrebbe strozzato quel mutante con le sue stesse mani per averlo fatto spaventare tanto.

James stava accucciato a quattro zampe per terra. Alzò gli occhi. Non erano del colore giusto, però. Invece che castani, erano enormi e neri. Danny arretrò di un passo. Avvertì un senso di nausea. James stringeva qualcosa tra i denti.

Nonostante il buio, Danny distingueva il sangue che disegnava una riga lungo il mento di James fino alla sua felpa strappata di Iron Man. Teneva i denti stretti intorno a un grumo di pelo con le zampe.

Danny si sforzò di dire qualcosa - persino di fare una battuta, qualcosa del tipo: «Ehi, faccia di cazzo, non vuoi un tovagliolo?», ma invece gorgogliò soltanto. Aveva la gola piena di bolle. Sentiva anche un sapore di acido, che salì fino a bruciargli la lingua.

James lasciò cadere il grumo di pelo e balzò fuori dal cespuglio. L'istinto ordinò a Danny di prepararsi a lottare, ma si costrinse ad aprire i pugni. Questa
cosa
era suo fratello?

«James, stai bene?» domandò.

James scoprì i denti. Balzò in direzione di Danny proprio nell'istante in cui una macchina imboccò il vialetto. I fari brillarono accecanti negli occhi neri di James. Cadde. Ora erano talmente vicini che Danny distingueva chiaramente la sozzura che gli copriva la maglia, e il sangue sui suoi piedi nudi.

James guardò Danny, ma il suo volto non diede segno di riconoscerlo. La luce invase il giardino, e lui cominciò a correre. Ancora a quattro zampe, galoppò sul prato e attraverso la siepe dei Wintrob. Correva come un animale, con le gambe che gli davano la spinta in aria e le braccia che atterravano per prime sul terreno. Le piante e le dita dei piedi rimaste erano nere.

Danny fece qualche respiro, inspirò ed espirò. Da una distanza che gli parve remota mille miglia, sentì suo padre sbattere la pesante portiera della Mercedes. Sul terreno c'era l'involucro di un coniglio. Non ne rimaneva che la pelle, qualche brandello di carne lungo la spina dorsale, e l'impronta dei piccoli denti di James.

 

Parte Terza

INFEZIONE

 

9.

Il trucco degli umani

 

La sera di martedì le ricerche di James Walker proseguirono a lungo anche dopo il tramonto. Poliziotti e volontari setacciarono i boschi di Bedford. Raggiunta una radura a due miglia dal margine del bosco, Tim Carroll inciampò. Con la torcia illuminò i bordi del prato e vide che erano disseminati di carcasse di animali. Il piede gli si era impigliato nelle corna di un'antilope, e il fascio di luce si rifletté negli occhi neri e spenti dell'animale. Tra i denti stringeva un brandello del muso di un opossum. Poi Carroll puntò la torcia tutt'intorno la circonferenza, e vide che tutti gli animali erano a fauci scoperte. Arretrò di un passo, e comprese che James Walker non era stato rapito da un pedofilo. Il ragazzo si era trovato in questo luogo terribile, dove gli animali avevano appreso un trucco degli umani. Avevano appresso l'assassinio.

Fu allora che sentì il grido. Sembrava il verso di un animale, ma con la torcia individuò Lois Larkin carponi al bordo di una fossa al centro della radura. Aveva la bocca cerchiata di terra. Come l'antilope, aveva gli occhi neri. «Lois!» gridò. Lei non smise di urlare finché lui non si levò il giubbotto e glielo mise sulle spalle.

«Ho visto James» disse Danny Walker ai suoi genitori quel martedì sera tardi. «Ha ucciso un altro coniglio.» Miller Walker puntò l'indice sul petto di Danny con forza sufficiente a lasciargli il livido. «Non voglio più sentir parlare di quel coniglio di merda» disse.

Mercoledì le ricerche vennero estese, e insieme ai volontari il nome di James venne gridato dagli agenti di Stato venuti da Augusta. L'area finì per includere l'intera città di Bedford fino ai confini di Corpus Christi. Del ragazzo non si trovò comunque traccia.

Lois Larkin si svegliò mercoledì mattina con il raffreddore e la finestra spalancata, anche se la sera prima l'aveva chiusa. La luce del mattino le feriva gli occhi, così si girò dall'altra parte e nascose la faccia sotto le lenzuola. Sintomi da depressione, pensò. Negli ultimi giorni tutta la sua vita era andata in fumo. Trovò un mucchietto di piume sul davanzale soltanto nel tardo pomeriggio. Là fuori teneva un contenitore di mangime per i colibrì. Forse un cane ne aveva catturato uno, e le aveva lasciato le piume come omaggio? Si passò la lingua all'interno delle labbra, e tra i denti. Dalla fessura estrasse un filo di cartilagine lanuginosa. Prima di rendersene conto, si ritrovò a succhiarne gli ultimi residui di sangue.

Meg Wintrob non andò al lavoro mercoledì mattina. Fenstad le aveva detto di restare a casa: proprio l'autorizzazione a poltrire di cui aveva bisogno. Lesse il
Boston Globe
mentre alla televisione passavano
Days of Our Lives
,
Oprah
e
Dr Phil.
Alle tre del pomeriggio si annoiava tanto che aveva concluso un cruciverba e già spuntato voci come «pulire sotto il frigorifero» dal suo elenco di «Cose da fare». Le venne da pensare che in realtà non sapeva proprio rilassarsi.

Fenstad andò al lavoro come al solito quel mercoledì. Il suo primo impegno era telefonare a Lila Schiffer. Aveva pensato di trattenerla in ospedale ieri, ma quando gli avevano detto dell'aggressione di Meg se n'era dimenticato. Il comportamento di Lila era passivo-aggressivo, e non si sarebbe sorpreso se si fosse tagliata le vene sull'altro polso solo per sbattergli in faccia la sua negligenza. Scoprì che non aveva motivo di preoccuparsi. Mercoledì mattina Lila rispose al telefono viva, vegeta e quasi allegra. Entrambi i suoi figli erano a casa con il raffreddore, e lei se ne stava occupando. Erano talmente grati del pane tostato con la cannella e dei massaggi sul petto con l'unguento balsamico che l'avevano chiamata «mamma» per la prima volta dopo mesi. Gli disse: «Forse è la Stelazina, dottor Wintrob, ma tutto d'un tratto mi sento di ottimo umore. Ci vediamo la settimana prossima!».

Mentre il sole tramontava mercoledì sera, Lois Larkin era sdraiata a letto. In bocca un sapore salato di carne cruda. Lo stomaco brontolava, e le tornò il ricordo sfocato di avere aperto la finestra la notte prima allungando la mano verso il contenitore del mangime. Ammise a se stessa quello che aveva cercato di negare: ora qualcosa viveva dentro di lei, e col calare dell'oscurità cominciava a parlarle.

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