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Authors: Sarah Langan

Virus (41 page)

Maddie annuì. Insieme, un gradino dopo l'altro, raggiunsero il piano di sopra. Meg non si limitava ad appoggiarsi; Maddie dovette quasi portarla di peso. «In camera mia» disse Meg. Non era sicura di quello che faceva, ma era un'idea come un'altra. «In bagno c'è la cassetta del pronto soccorso» aggiunse. «Nel secondo cassetto, dietro gli asciugamani.» Maddie vi si diresse. Meg aprì la valigia che aveva preparato e svuotò la tasca laterale. Orecchini. Qualche collana. L'anello con il diamante. Per fortuna non si erano mai dati la pena di prendere una cassetta di sicurezza. In tutto dovevano valere almeno ventimila dollari. Infilò tutto in una calza di Fenstad. Quando Maddie tornò con il kit del pronto soccorso le disse: «Vieni qui».

Maddie obbedì. «Ti fa molto male?» domandò.

«Non è niente» disse Meg, anche se aveva la netta impressione che l'osso della caviglia si fosse staccato completamente dal resto della gamba. Il piede penzolava come un peso morto. Tirò il colletto della maglietta di Maddie e le infilò la calza piena di gioielli nel reggiseno di cotone. «No!» bisbigliò Maddie. Aveva gli occhi pieni di lacrime ed era percorsa dai brividi, mentre al piano di sotto le pareti tremavano sotto i colpi di Fenstad. Cosa diavolo stava facendo?

«Sì» disse Meg. «Domani mattina voglio che tu... oh merda, non sai guidare. Ok. Voglio che tu vada in bicicletta fino all'autostrada, poi fai l'autostop fino alla casa dei nonni a Wilton. Io resto con tuo padre, e non appena sarà in grado di viaggiare ti raggiungo là.»

Maddie raddrizzò le spalle come se la calza che Meg le aveva nascosto addosso fosse una piaga. «Non la voglio» sussurrò. «È roba TUA!»

Meg le prese il volto tra le mani. «Potresti avere bisogno di venderla. Non preoccuparti. A me non serve più. Chiunque sia tanto stupido da barattare cibo o benzina in cambio di una perla, può tenersela.»

Maddie singhiozzava. I singhiozzi erano muti, e inermi. Meg sollevò il suo mento e le parlò da molto vicino. «Devi fare una sola cosa per me, mi senti? Dimmi che mi senti.»

Maddie annuì.

«Dillo.»

«Ti sento» piagnucolò Maddie.

«Devi restare viva, a qualunque costo. È tuo dovere. Qualunque cosa succeda a me o al papà, il tuo dovere è quello. Devi restare viva. Mi hai sentito?»

Maddie annuì.

«Dillo» disse Meg.

Maddie tirò un respiro convulso. «Mamma» implorò.

«Dillo» ripeté Meg.

«Devo restare viva.»

Meg la baciò sulla fronte. «Brava. Adesso procurati una giacca calda e un paio di scarpe comode di ricambio. E non parlare con gli estranei. So quanto ti piace farlo. Anche se ti sembrano gentili, non fidarti. E se un uomo dovesse aggredirti, non avere paura di colpire sotto la cintola. Gliele hanno messe apposta quelle cose là sotto, per dare a noi la possibilità di reagire.»

Maddie non si mosse.

«Vai adesso» disse Meg. «Ora.»

Maddie si chinò e appoggiò la fronte al petto di Meg.

«Non avere paura» la consolò piano Meg. Cercò di non pensare a Maddie e al suo sorriso lungo una strada oscura e disseminata di ossa. Cercò di non pensare a una ragazza dolce, cresciuta nella bambagia, che non era mai stata da nessuna parte per conto proprio, tranne una volta, a un campeggio estivo a Parigi, con un mucchio di altri ragazzi ricchi. «Te la caverai benissimo. Ne sono certa.»

Maddie tirò su col naso. Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma vide lo sfinimento di Meg, e annuì. «Ok... ti voglio bene, mamma.»

Meg la baciò all'angolo dell'occhio. «Lo so. Anch'io. Adesso sbrigati.»

Non appena Maddie fu uscita dalla stanza, Meg si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi e si sforzò di non piangere. Non era più triste. La caviglia le faceva troppo male per avvertire la tristezza.

Fu allora che sentì il grido. Era Maddie, e quel suono le gelò il sangue nelle vene. Saltellò su una gamba il più rapidamente possibile. Ogni volta che il piede sano atterrava, l'altro prendeva uno scossone, accendendo una fitta che le trapassava la pelle come un cavo elettrico. Dalla cassettiera afferrò un paio di forbici da cucito, in caso le servissero contro un intruso o suo marito.

Quello che vide quando giunse in corridoio la lasciò interdetta. Maddie si divincolava sul letto, e Fenstad la teneva giù. Meg si avvicinò. I polsi di Maddie erano legati alla testata del letto con le federe dei cuscini, e d'un tratto Meg fu sopraffatta da una tale collera che vide rosso.

«È per il suo bene» disse Fenstad.

Meg tremava dalla rabbia, ma cercò di mantenere calma la voce. «Fenstad...» disse. «Hai appena legato al letto tua figlia di diciotto anni.»

Il volto di lui era privo di espressione. Molto peggio del più impassibile gelo da pesce che gli avesse mai visto. Sembrava quasi morto. «Qui dentro siamo al sicuro... E io la conosco. Voleva scappare dal suo ragazzo.»

La scansò con uno spintone e andò in corridoio. Meg strinse un piede di Maddie per rassicurarla, e poi lo seguì in camera da letto. «Sei completamente fuori di testa» disse.

Lui la afferrò per la vita. Lei non si oppose. La caviglia le faceva troppo male. Lasciò cadere le forbici. Persino in quel momento non si sentiva pronta a usarle. Lui la spinse sul letto. La nuca le andò a sbattere contro la testata. Avrebbe avuto il diritto di svenire dal dolore. Ma era troppo incazzata. Lui la immobilizzò sul materasso, e le legò le mani alle colonnine del letto lacerando strisce delle loro raffinate lenzuola di cotone egiziano. Poi strinse i nodi tanto che lei non riusciva nemmeno a stringere il pugno.

«Fenstad. Smettila. Dobbiamo andarcene da qui» disse.

Fenstad non rispose. Controllò che i nodi fossero saldi, e poi le legò al letto anche la caviglia destra. Almeno quella rotta la lasciò stare. Lei sapeva che avrebbe dovuto sentire paura, ma provava solo una rabbia furibonda. «Imbecille! Lasciami andare!»

Lui inclinò la testa. Il sangue che gli imbrattava la faccia e i capelli aveva cominciato a coagularsi. «Stanza 69. Scommetto che l'avrai trovato buffo» disse, e lei ebbe un tuffo al cuore. «Sai come l'ho scoperto, vero? Ti ho seguita. Ti ho spiata.» Chiuse la porta quando se ne andò, e la stanza sprofondò nel buio.

 

35.

La cantina

 

Danny Walker percorse a tutta velocità la strada da Bedford a Corpus Christi. Era troppo tardi per lasciare la città, e doveva trovare riparo. Sentiva delle urla. Non era il vento. La pioggia scendeva così fitta che riusciva a vedere a stento a cinque metri dal parabrezza dell'auto di sua madre, e aveva controllato che tutte le portiere fossero ben chiuse.

Accostò davanti a casa sua. Lo avrebbero cercato, ora che aveva scoperto la loro tana. Stavano arrivando, lo avvertiva.

Ma improvvisamente i fari della sua auto illuminarono Fenstad Wintrob davanti alla casa accanto. Fissava con il trapano un tavolo da cucina sulla finestra a bovindo della facciata. Danny gridò di gioia. Senza badare all'etichetta, guidò la Mercedes fin sul prato dei Wintrob, e abbassò un poco il finestrino. La pioggia gli scrosciò in faccia.

«Ehi!» gridò. Un testimone! Ne era rimasto un altro, vivo.

Fentad si voltò. Aveva la faccia coperta di sangue, un dettaglio che Danny non trovò nemmeno lontanamente allarmante quanto gli sarebbe parso solo una settimana prima. Stringeva tra i denti dei chiodi, e puntò il trapano verso il cielo come mirando in alto una pistola. Non parve meravigliato, anzi, non si sorprese affatto. Un fulmine illuminò il prato per un istante, e poi svanì. C'erano ossa di animali dappertutto. Più che sugli altri prati della città. Ma forse era perché Fenstad conosceva Lois Larkin, e lei gli aveva riservato un trattamento speciale così come - ora Danny se ne rendeva conto - James lo aveva riservato ai Walker.

«Sta bene?» domandò Danny.

Fenstad si strinse nelle spalle. Era scalzo. Danny lo scrutò più attentamente, ma non era malato, e non era cambiato. Gli si vedeva ancora il bianco degli occhi. «Domani lascio la città» urlò nella pioggia, sperando che Fenstad sputasse i chiodi per rispondere
Magnifico. Anch'io. Vieni dentro. Vieni a stare con quella sciroccata di mia figlia, ci sono le lasagne fatte in casa. Ho deciso di adottarti. Domattina partiremo tutti insieme.

Non disse nulla di tutto ciò. Si avvicinò al finestrino aperto della macchina, infilò i chiodi in tasca, e sorrise come se oggi fosse una giornata come qualsiasi altra. «No grazie, ragazzino» disse. «Mia moglie e mia figlia sono malate, quindi mi toccherà stare qui a fare il dottore. Magari un'altra volta!»

Danny lo fissò a lungo finché non ne fu certo: Fenstad Wintrob aveva perso la ragione.

Non si diede la pena di dirgli addio. Ingranò la retro e andò a parcheggiare nel garage di casa sua. Non avrebbe voluto, ma nessun altro posto gli sembrava sicuro. Caricò di nuovo la pistola, si chiuse di nuovo in cantina, e di nuovo si mise di guardia alla porta. Là, insieme ai fantasmi dei suoi genitori, si mise in attesa dell'inevitabile. Attese l'arrivo degli infetti.

 

36.

L'ospite perfetta

 

La cosa che un tempo si chiamava Lois Larkin si alzò su due gambe a sovrastare la buca nel pavimento del Dew Drop Inn dove giacevano i resti di Ronnie e Noreen. Quella sera aveva insegnato una nuova lezione al virus. Mai prima di allora aveva mangiato un suo simile. Ma per imporre l'ordine bisogna instillare la paura.

Al suo cospetto erano crollati mondi interi: i sumeri, gli accadi, l'antico impero maya, dove gli ultimi uomini rimasti si erano lacerati le carni per la fame, e alla fine avevano mangiato i corpi dei morti e bevuto l'acqua dell'oceano. Ma il virus non aveva capito che la morte dell'uomo significava anche la morte della sua specie. Bisognava mantenere un equilibrio. Avrebbero costruito fortilizi lungo le coste, e lasciato l'entroterra agli umani, come animali lasciati all'ingrasso dentro un recinto. Coloro che avessero varcato i confini o mangiato più del dovuto sarebbero stati impiccati al sorgere dell'alba, e lasciati a consumarsi ai raggi del sole.

Le città sarebbero cadute una dopo l'altra. Le passò mentalmente in rassegna: New York, Boston, Austin, Sioux City, Salt Lake. Riusciva a vedere ogni pensiero, ogni ultimo respiro strozzato, ogni risatina isterica, ogni tramonto da diecimila occhi. Presto avrebbe realizzato il sogno di tutta una vita: si sarebbe lasciata Corpus Christi alle spalle per marciare verso ovest. Ma prima doveva dare la caccia ai superstiti della città, abbatterli fino all'ultimo. Fino a quando non fossero morti tutti coloro che avevano conosciuto la Lois Larkin di un tempo, fino a estinguerne anche il ricordo.

Lois indicò le ossa di Ronnie e Noreen in fondo al buco. «Anche quelle» disse, e gli infetti mangiarono finché non svanirono anche gli scalpi.

 

37.

Mad-e-line!

 

Maddie giaceva nel letto. Erano passate dieci ore da quando suo padre l'aveva legata. Dapprima aveva pianto tutte le sue lacrime, poi aveva provato solo paura, e infine si era incazzata. Legata a un letto! Come diavolo poteva difendersi, o difendere sua madre, o trovare Enrique, immobilizzata in quel modo? Da dove gli era venuta un'idea del genere, dai canali porno?

Gli altri, e persino suo fratello David, si sarebbero probabilmente meravigliati di ciò che suo padre aveva fatto, ma lei no. Lo aveva sempre saputo che il suo papà era un po' svitato.

Non si mise a strillare, come sentiva fare a sua madre (
Fenstad! Torna qui! Lascia che ti spieghi! Cosa stai combinando là sotto?
), mentre in fondo alle scale lui martellava chiodi nei muri. Le urla lo rendevano solo più nervoso, e quando si innervosiva diventava strano. Bizzarro. Dopo tanti anni, sua mamma ancora non l'aveva capito.

Maddie cercò di divincolarsi. Tirò strattoni con il braccio sinistro, sforzandosi di sfilare la mano attraverso il nodo, ma era troppo stretto. Anche se fosse riuscita a fratturarsi il polso non sarebbe comunque riuscita a liberarsi.

Fu allora che vide il suo volto attraverso la finestra. Suo papà aveva barricato ogni ingresso al pianterreno, ma aveva dimenticato che se qualcuno avesse voluto entrare, avrebbe potuto arrampicarsi sul porticato. Era buio, e non vide altro che i suoi occhi mutati, neri come fori sulla sua faccia pallida. Lui fece strisciare la mano sul vetro come cercasse di toccarla. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Enrique. Non somigliava più al ragazzo che aveva amato, perché quando la vide non sorrise.

«Mad-e-line» sussurrò, come se fosse un gioco, e non volessero farsi sentire dai suoi genitori. Come Romeo e Giulietta.

Sollevò il vetro della finestra ed entrò. Lei voleva urlare, ma aveva paura per lui. Aveva visto quello che suo padre aveva fatto a Graham Nero. Peggio ancora, se avesse urlato, suo padre si sarebbe innervosito. Avrebbe fatto del male alla persona sbagliata, magari a sua mamma.

«Mad-e-line, mi sei mancata» disse Enrique, ma non sembrava sincero. Aveva la fronte accigliata come dalla rabbia, e si muoveva come un ragno: aggraziato, ma ripugnante.

Lei cercò di rotolare giù dal letto, ma era bloccata. «Vattene» disse. «Non sei più lo stesso.» Era vero; bastava guardarlo per capire che il ragazzo che amava non c'era più. Quella cosa che aveva preso il suo posto era un insulto alla sua memoria, e lei la odiava.

«Ssshhh» bisbigliò lui. I suoi occhi neri brillavano, e lei ci si vide dentro. Nel riflesso, il suo viso annegava in un fiume di lacrime, anche se esternamente i suoi occhi erano asciutti. Volle gridare, ma adesso non aveva più voce. Era intrappolata in un luogo buio, umido. Era intrappolata nei suoi occhi.

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