Authors: Sarah Langan
Lei sospirò. «A raccontartelo mi rendo conto che non può essere vero. Probabilmente si è trattato di una coincidenza. Ma in quel momento, non so. Mi sono sentita come se avessi davanti mio padre, non Albert Sanguine...»
Lui riprese a grattarle la gamba. «Non c'è niente di sciocco. Albert è malato, ma è intelligente. La gente come lui riesce a manipolare le persone senza nemmeno rendersene conto. Ti conosce da anni. Forse ti è capitato di accennare a tuo padre con lui, e lui ha intuito che era il tuo punto debole. Così lo ha usato.»
Lei non disse nulla per un po', e infine annuì. «Può essere» rispose. Questo lo fece sentire bene, e utile. Come
è giusto
che si senta un uomo.
«Ti preparo qualcosa da mangiare» disse.
Fece per alzarsi, ma lei lo trattenne sul bordo del divanetto, seduto di fianco a lei. Poi si slacciò la camicetta. «Dopo quella cosa che mi aveva detto, ho pensato a te. A quanto sei migliore di qualsiasi uomo che io abbia incontrato.» Lo disse guardandolo negli occhi, e lui seppe che era sincera.
Il ciondolo con il diamante che le aveva regalato per il loro decimo anniversario le riluceva tra i seni. Lui ci appoggiò il palmo aperto della mano, e attese una reazione. Lei arcuò la schiena. «Ce la fai a essere delicato?» domandò.
«Posso provarci» disse lui.
13.
Risolvere crimini
e fare nuove amicizie nel tempo libero!
Un segno del destino!
aveva pensato Jean Rizzo quando aveva visto l'annuncio la settimana prima. Stava mangiando un sandwich al burro di arachidi e marshmellow, chiusa in bagno durante la pausa pranzo, quando aveva notato un cartello blu appeso alla parete:
Segui le orme di Baker Street. Usa il tuo tempo libero per risolvere i misteri del crimine e fare nuove amicizie! Patrocinato dalla Associazione degli Ammiratori di Sherlock Holmes.
Si era così entusiasmata che il sandwich le era caduto di mano e il burro di arachidi si era incollato sul pavimento proprio ai suoi piedi.
Sherlock Holmes manteneva la calma anche sotto pressione. Astuto. Elegante. Un solitario, certo, ma la gente lo rispettava. Persino Data di
Star Trek-TNG
voleva somigliare a Sherlock. Urrà! Avrebbe seguito le orme di Baker Street! La seconda liceo avrebbe
spaccato
!
Ogni settembre sperimentava qualcosa di nuovo. La seconda media era stato l'anno dei pantaloni attillati da discoteca e dei berretti in tinta con la piuma. Puntava a un look da Olivia Newton John ai tempi di
Xanadu
,
ma ne era venuto fuori un ibrido da marchettaro-travestito-che-cerca-di-dimostrare-qualcosa. In terza media si era impegnata a sorridere sempre. Aveva pensato che i ragazzi fichi della scuola erano felici, quindi stampandosi in faccia un ghigno idiota l'avrebbero presa per uno di loro. «Cos'hai da essere tanto contenta, JEANNIE?» l'aveva derisa senza sosta Justin Ross dal banco dietro al suo (perché i loro nomi dovevano essere tanto vicino sull'elenco alfabetico?). Poi era stata la volta dell'audizione da cheerleader. Adesso non voleva nemmeno pensare a quei pompon immaginari. Ma la vista di quel cartello su Sherlock Holmes mentre si sfilava briciole di pane in cassetta dai denti l'aveva convinta che tutto sarebbe cambiato. Nessuno le avrebbe più lanciato tra i capelli palline zuppe di saliva, che non scovava finché non rientrava a casa e suo padre le faceva uno di quei sorrisetti saputi domandandole: «Cos'è, oggi piovono sputi?». Justin Ross non le avrebbe più levato la sedia per farla cadere col culo a terra. Gli insegnanti avrebbero smesso di controllare ogni volta il registro per ricordarsi il suo nome. Sì, questo secondo anno di liceo sarebbe stato diverso.
Tanto per cominciare, aveva un'arma (non proprio segreta). Durante l'estate, come per magia, le tette le erano cresciute da una prima a una terza dirompente. Per metterle in mostra aveva rubato da Target un abito da diciannove dollari e novantanove, senza spalline e a quadretti di cotone rosso. Se l'era infilato nello zaino e poi era andata al bancone a comprare un lucidalabbra Bonne Bell al lampone da due soldi per eludere i controlli della sicurezza. Quel giorno avrebbe indossato il suo abito in onore del club, e quando si guardò allo specchio si accorse di essere la copia sputata, ma più sexy, della Mary Ann di
Gilligan's Island.
In quel momento attraversava la palestra ancheggiando e facendo dondolare le tette senza reggiseno (se le hai, ostentale!). Le lezioni erano finite, e quasi tutti si erano riuniti lì per la giornata di iscrizione ai club. Be', tutti quelli che erano venuti a scuola. Una marea di studenti era a casa malata.
I gazebo disseminati ovunque facevano pubblicità per cose come il comitato dell'annuario scolastico, informatica e scenografia teatrale. Lei perlustrò le file in cerca dell'Associazione Sherlock Holmes, ma non riuscì a trovarla. Le cheerleader sono S-E-X-Y! annunciava un cartello, circondato da un gruppo di ragazze dal fisico perfetto e le fossette sulle guance che sorridevano languide come lucertole al sole. Le superò camminando più in fretta possibile, perché l'anno prima aveva tentato l'audizione per la squadra. I provini si erano rivelati una messa in scena. Ogni membro del comitato di selezione aveva semplicemente scelto la propria sorella minore. Era così che funzionavano le cose a Corpus Christi. Non facevano che dirti che potevi farcela anche tu, ma erano solo stronzate.
Comunque lei si era presentata solo perché suo padre la tormentava su quanto fosse importante stare dalla parte dei vincenti, e senza dubbio le cheerleader appartenevano a quella schiera. Quand'era arrivato il suo turno, si era sgolata sotto gli occhi di quasi tutte le studentesse della prima superiore:
tutti
a Corpus Christi volevano diventare cheerleader. Si era sbracciata agitandosi non solo con energia, ma con autentica grazia. Alcune delle ragazze avevano sorriso come fossero piacevolmente colpite, e lei aveva pensato:
Tre settimane intere a strillare 'forza, ragazzi, avanti!' nel seminterrato umido di mio padre, ma almeno ho trovato una cosa che mi riesce bene.
Tutto d'un tratto, una dei giudici aveva fatto una risatina di scherno. Aveva i denti di un bianco accecante, manco facesse i gargarismi con la candeggina. Si era portata una mano alla bocca per non esplodere, come se la vista di Jean Rizzo che fingeva di tenere in mano i pompon, perché nel ripostiglio degli attrezzi non ne erano rimasti più, fosse la cosa più esilarante del mondo. Tutte le ragazze popolari, si rese conto Jean in quel preciso istante, erano riuscite come d'incanto a ottenerne di veri, mentre ai perdenti non avevano nemmeno consegnato la bacchetta da majorette. Le ragazze con i pompon erano le uniche davvero in lizza, mentre tutte le altre, per quanto si fossero impegnate, per quanti fischi e palline di carta avessero sopportato, non erano nemmeno in gara.
Era stato allora che si era spompata. Aveva mormorato il suo ultimo «Fooorza, Trojans!» prima di lasciar cadere i suoi pompon immaginari e andare al campo di atletica. Forse le fortunate che erano entrate in squadra se ne ricordavano anche quel giorno, o magari si sentivano ancora in colpa. Forse se ne infischiavano, tanto avevano ottenuto quel che volevano. Quel giorno suo padre la stava aspettando a casa. Quando le vide le lacrime agli occhi, spalancò il suo inossidabile sorrisetto saputo e domandò: «Non ce l'hai fatta, eh, Jeannie?».
Ormai, dovunque guardasse, i ragazzi ridevano e parlavano come si sentissero i padroni della scuola. Signori e padroni. Persino quelli con i capelli lunghi e la peluria sul mento, i tipi da aspetto-l'apocalisse-per-abbattere-a-fucilate-tutta-la-scuola che appartenevano al club del tirassegno se la godevano un mondo. Lei attraversò le file di tavoli come subendo un'ordalia: fissati dei motori, cannaioli ambientalisti con gli occhi arrossati, giovani repubblicani destinati alle università più prestigiose.
Era questa la caratteristica della scuola. Persino i perdenti avevano la vita facile. Certo, qualcuno cercava di comportarsi in modo umano. A volte esageravano a sfotterla, ma dopo si sentivano in colpa e le chiedevano scusa. Qualche disadattato la invitava persino a sedersi al suo tavolo in mensa, ma alla fine erano tutti uguali. Avevano una vita perfetta. Si preoccupavano di lussi come il ballo di fine anno, i ragazzi, i compiti, o se si sarebbero iscritti a un college in un altro Stato. Non erano costretti a rubare i vestiti, e nessuno aveva mai messo loro in mano un barattolo di marshmellow sostenendo valesse come latticino. Ogni sera trovavano ad accoglierli la cena pronta, mentre a lei toccava un sorrisetto saputo.
Ma mentre superava l'ordalia dei club, decise che quel giorno sarebbe cambiato tutto. Avrebbe trovato dei compagni proprio come lei, che amavano Sherlock Holmes. Forse avevano persino una società segreta, e dietro le quinte erano loro a comandare la scuola. Lei avrebbe aggiunto il suo nome alla lista delle firme, e quella stessa sera avrebbe ricevuto una telefonata anonima. Una voce profonda e misteriosa le avrebbe confidato: «La mano invisibile che elegge il capoclasse, la reginetta del ballo, i vincitori del concorso per la banda scolastica: quella mano è la nostra, appartiene all'Associazione Sherlock Holmes. Ti tenevamo d'occhio. Perdonaci se negli ultimi quindici anni ti abbiamo reso la vita tanto dura, ma dovevamo essere sicuri che fossi la persona giusta. Benvenuta a bordo! La prima riunione si terrà nel seminterrato di Danny Walker. Metti il vestito rosso. Ti fa somigliare a Mary Ann di
Gilligan's Island
»
.
In fondo alla fila dei banchetti, trovò l'Associazione Sherlock Holmes. Non c'era una gran folla. Nessun foglio ufficiale per le firme. Niente ressa di studenti popolari che annuivano in tacito assenso vedendola avvicinarsi. Nulla di tutto ciò. Unico titolare del banchetto era una matricola dodicenne, il genio che aveva saltato due classi. Portava sulle spalle un mantello di lana scozzese, tra i denti una pipa giocattolo.
La carnagione era pallida e opaca, come se ogni sera a letto si ingozzasse di burro di arachidi Superchunck Skippy, mangiandolo con le dita direttamente dal barattolo. Le fissò a lungo le tette, così lei le nascose incrociando le braccia. Lui non smise di guardare, risultandole subito odioso, perché solo i ragazzi più fighi potevano notarle il profilo dei capezzoli, così che quella vista li incantasse al punto da dichiarare seduta stante che la amavano al punto di essere disposti a uccidere per lei. A morire, o quantomeno a offrirle un hamburger.
La matricola secchione masticava il bocchino della pipa finta che probabilmente gli avevano regalato i suoi come souvenir della riserva indiana di Penobscot Island. «Ci servono tre persone per formare un club altrimenti la scuola non ci assegna un docente» disse. Poi le allungò il foglio delle firme come le stesse facendo un favore. Come non la considerasse abbastanza intelligente da risolvere un mistero di Sherlock Holmes, ma d'altra parte, cosa vuoi farci, gli serviva un nome per il quorum.
«Fottiti, matricola» sarebbe riuscita a dirgli dieci minuti dopo, ma al momento riuscì solo a balbettare: «Mi sono sbagliata, pensavo fosse il banchetto cheerleader», e si allontanò.
Sulla pista di atletica, aprì il lucchetto della bici da uomo arrugginita che suo padre aveva recuperato per lei dalla discarica quand'era bambina. Ormai era troppo piccola, e le ginocchia le sbattevano sul manubrio quando pedalava. Non c'era nessun altro in giro. Tutti gli altri studenti di Corpus Christi erano dentro la scuola a divertirsi. Persino la squadra di football aveva annullato gli allenamenti per la giornata dei club. Anzi, in quel momento ridevano tutti di come era scappata fuori dalla palestra. Uscita lei, era iniziata la festa. Avevano tirato fuori la birra alla spina, le luci si erano spente, e avevano tutti cominciato a pomiciare. La matricola secchione serviva a metterla alla prova. L'Associazione Ammiratori di Sherlock Holmes era davvero una società segreta di studenti popolari, solo che per farti ammettere dovevi infilare in culo alla matricola la sua pipa giocattolo. Letteralmente.
Suo padre aveva ragione. Era una perdente.
Sferrò un calcio alla bici, provando una fitta di dolore alle dita, ma non ci fece caso. Sferrò un altro calcio, e questa volta il crampo le paralizzò tutto il piede. Era bello provare dolore. Era contenta di provare dolore. La bici si ribaltò, e lei ci saltò sopra a piè pari finché il telaio si accartocciò e si staccò la catena, e il fiore di plastica cadde dal manubrio. In quel momento per lei la bici rappresentava tutte le cose che odiava: la scuola, suo padre, il secchione matricola con la pelle opaca, il suo merdoso vestito senza spalline di Target. Dopo qualche minuto si ritrovò senza fiato. La bici era tutta contorta. Pezzi di vernice si erano polverizzati sul cemento, e rilucevano come polvere di granito rosso. Una goccia di sudore le entrò negli occhi. La bici era là, immobile. La bici era morta.
Cominciò a camminare. Fanculo la bicicletta. Fanculo tutto. Desiderò un coltello per potersi tagliare. Desiderò aver scalciato la bici così forte da farla esplodere in cenere di metallo. Desiderò schiacciare la scuola con le sue stesse mani così che tutti al suo interno morissero intrappolati mentre lei sghignazzava. Voleva che i vasi sanguigni nel cervello le scoppiassero e la mandassero in coma, così chiunque le avrebbe mandato biglietti d'auguri confessando di essere dispiaciuto di averla esclusa in tutti questi anni; era stato tutto uno scherzo. In realtà le volevano bene, davvero.
Lo scherzo ci ha preso la mano
,
avrebbero scritto.
Ma niente di tutto ciò sarebbe accaduto. Il secondo anno di liceo non sarebbe stato diverso dal primo. Certo, i suoi vestiti la strizzavano come una salsiccia, ma nessuno l'avrebbe invitata fuori. Escludendo la matricola più balorda della scuola, nessuno l'aveva nemmeno degnata di uno sguardo. I suoi voti erano pessimi in tutto tranne in disegno, dove erano mediocri. Non era simpatica nemmeno ai suoi amici di rete. Inizialmente si scambiavano lunghe mail piene di confidenze, ma dopo un po', anche se lei spediva messaggi dieci, quindici volte al giorno, smettevano di risponderle, e a volte bloccavano persino il suo indirizzo. Non aveva nessun talento particolare né una faccia carina. Non sapeva né correre né ballare. A essere sinceri, la matricola secchiona aveva ragione. Non le era mai riuscito di risolvere i casi di Sherlock Holmes prima della fine del racconto. A volte non riusciva a capirli nemmeno
dopo
che il libro li aveva spiegati. Quell'anno sarebbe stato come il precedente, che era stato identico a tutti gli altri. Non era nessuno. Era una vergogna. Un sacco di merda.