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Authors: Sarah Langan

Virus (21 page)

Da terra alzò lo sguardo sui loro occhi neri. Sorridevano, come se trovassero la cosa divertente. L'uomo l'aveva spinta fin qui di proposito, ora lo capiva. Era una trappola. «Ma cosa vi ho mai fatto di male?» mormorò.

Il loro alito sapeva di marcio. Lei cercò di divincolarsi ma le inchiodavano le braccia a terra. Qualcuno le si era seduto sulle gambe. Si vide riflessa nei loro occhi: un vestito a quadretti rossi da quattro soldi. L'orlo si era strappato, e i suoi seni bovini spuntavano dal tessuto. Voleva coprirsi con le mani, ma non poteva muovere le braccia. Il gelo nell'aria le pungeva la pelle nuda come spilli. Sapeva che avrebbero visto tutti i suoi segreti: la voglia a forma di farfalla e i radi peli scuri che le circondavano i capezzoli.
Perché non vi piaccio?
,
pensò,
Cos'ho io che non va?

Si rispecchiò nei loro sguardi, venti occhi sporgenti e neri, come di ragno. Il suo riflesso ci ondeggiava dentro. Lei viveva nel riflesso, e il riflesso viveva in lei. Mugolava nuotandoci dentro, poi smise di nuotare, e sprofondò nel buio.

Justin scoprì i denti perfettamente dritti, costati una fortuna, e lo stesso fecero Liesa, Jackie e tutti gli altri. «Fame» disse Justin, solo che in realtà non parlava più. «Aeee», disse, in un modo tale che, se lei si fosse sforzata abbastanza, avrebbe potuto convincersi che la stava chiamando «amore».

Cercò di nascondere le sue lacrime, ma i suoi seni erano freddi, ed esposti, e provava tanta vergogna. Cercò di impedire alla sua mente di comprendere l'evidenza: andavano in quel bosco per mangiare.

Qualcuno, forse Dolores, diede il primo morso. Jean cercò di trattenersi. Non voleva che vedessero il male che le facevano. Ma il dolore era troppo forte. Urlò.

 

14.

Una casa divisa

 

«Una cosa ORRENDA!» annunciò Maddie Wintrob. «Se l'era mangiato, quel bambino.» Lei e il suo ragazzo erano appena tornati in bicicletta dalla stazione di polizia, dove avevano denunciato il rinvenimento dello scheletro di un neonato, oltre all'avvistamento di Albert Sanguine, vivo e vegeto e quantomai arzillo.

«Preoccupante» disse Fenstad.

Erano tutti e quattro in salotto. Maddie ed Enrique seduti su un divano, Fenstad e Meg sull'altro. Un anno prima Maddie aveva martellato i pavimenti di legno con le sue scarpette da tip-tap, anche se non prendeva lezioni di tip-tap: godeva semplicemente a fare baccano. Be', forse non era passato solo un anno. Forse anche dieci. «Ta-DA!» urlava poi spalancando le braccia al termine di ogni numero di passi chiodati.

Aveva appena finito di raccontare la gita nel bosco. Il motivo per cui si trovava là invece che a scuola restava un mistero. Fenstad non doveva sforzarsi per indovinarlo. A diciott'anni aveva fatto le stesse cose con Joanne Streibler. Ma se guardava sua figlia, una gazzella psichedelica tutta colori sgargianti e frange, e la confrontava con il commesso di drogheria con quella lanugine nera e molle sul labbro, non voleva indovinarlo affatto.

«A me basta che siate sani e salvi» disse Meg.

Fenstad annuì, ma aveva la mandibola contratta, e gli ribolliva il sangue. Fissò lo sguardo oltre la finestra perché non vedessero quant'era prossimo a esplodere. Poi sul prato appena tagliato e sui cespugli di sanguinella in fiore. Poi sulle macchine che passavano con i fari accesi, e sulla vista della città ai piedi della collina. La sua casa vittoriana era grande e imponente. Perfetta per una famiglia di quattro persone. Era orgoglioso di ciò che aveva costruito, anche se il mondo sembrava determinato a farlo a pezzi, trave dopo trave.

«Siete sicuri che fosse proprio Albert?» domandò Meg. Teneva la gamba distesa sul tavolino basso tra i due divani. Quel pomeriggio avevano fatto l'amore proprio sul divano dove sedevano ora, e anche sul letto. Il volto di lei era ancora radioso, e l'unico indizio di quanto poco gradisse sentire il nome di Albert erano i gesti bruschi, energici, con cui si grattava la pelle sotto il gesso. Aveva le unghie lunghe, e il rumore era sonoro come un frinire di grilli.

«Ne sono certo. Ma aveva qualcosa di strano. Non si muoveva come un uomo.» L'inglese di Enrique era impeccabile ma incerto, e distintamente straniero. «Quando ci ha visti, è scappato via. Correva a quattro zampe.» Enrique imitò il movimento, curvando le dita come artigli e piegandosi in avanti come a dare una dimostrazione. «Come un animale. Era assurdo. La polizia non ci ha creduto, ma è vero. Era Albert Sanguine.»

Meg si irrigidì accanto a Fenstad, e per un momento lui provò ansia. Che fosse vero? Ieri sera era saltato giù da una finestra al secondo piano, e adesso stava nel bosco? Come sempre nei casi di paranoia allucinatoria, le fantasie di Albert erano intricate, ma avevano anche qualcosa di più raro: coerenza. In sei anni la sua storia non era mai cambiata di una virgola: una presenza venuta dal bosco di Bedford aveva preso dimora dentro di lui, e non mollava la presa.

A Fenstad venne da chiedersi se davvero, per tutto quel tempo, qualcosa lo avesse chiamato. Poi scosse la testa: no. Albert Sanguine era morto. Presto qualcuno ne avrebbe fiutato il cadavere in qualche oscuro recesso dell'ospedale dove si era intrufolato per fare incetta di alcol disinfettante. I ragazzi avevano visto qualcosa e, vittime dell'isteria, gli avevano dato il volto di Albert. Era l'unica spiegazione plausibile.

«Se era davvero lui, non avrebbe potuto farvi del male. Ciò che avete visto è stata la scarica adrenalinica di un uomo in agonia» disse. Meg si stava ancora grattando, ma con meno frequenza. Aveva la pelle arrossata, e lui appoggiò una mano sulla sua per farla smettere.

Maddie fece un sospiro che sembrò un singhiozzo. «Papà... credo che abbia fatto qualcosa a quel bambino.»

«Maddie» disse Fenstad, «hai detto che era uno scheletro. Probabilmente proveniva da Bedford, prima dell'incendio. Un bambino nato morto e abbandonato nel bosco dalla madre.»

«Balle» ribatté Maddie. «Aveva la pelle tutta rinsecchita, e le ossa rotte.» Fece un respiro profondo, e lui intuì che stava montando una crisi.

In condizioni normali avrebbe già cominciato a confortarla, e invece adesso era Enrique Vargas ad accarezzarla con un gesto circolare del pollice nel punto d'incontro delle sue scapole ossute.

Da quando si era arruolato, Enrique aveva cominciato a trascorrere più tempo a casa Wintrob. La sera lui e Maddie si sedevano sul portico a bisbigliare tra loro. Non scherzavano. Il loro bisbigliare era intenso e serio, e probabilmente comprendeva accorate promesse di amore eterno. Fenstad pensò che un anello di fidanzamento fosse imminente. Un oggetto di bigiotteria che avrebbe macchiato di verde il dito di Maddie.

«Papà, aveva le ossa rotte. Non è normale.»

«Tesoro» disse Meg, «potrebbe essere stato un animale.»

Maddie strinse le labbra. Enrique si scostò da lei, come se prevedesse già ciò che stava per succedere. Le tremarono le labbra per un secondo, poi un altro. Al tre, esplose. Le si ingrossarono le vene del collo, e schizzò saliva dalla bocca. «Quell'uomo aveva le labbra sporche di sangue! Da dove credete che venisse, il sangue? L'aveva mangiato, mamma! Lui è là fuori, e ti ha già aggredita una volta. Perché non volete credermi? Non mi state mai a sentire. Quello si mangia i bambini!»

Meg si strofinò la faccia con le mani come sforzandosi di cancellarla. Fenstad pensò all'Aspirina nell'armadietto del bagno, o forse il Tylenol avrebbe funzionato più in fretta. No, l'Aspirina: poteva masticarla.

Ciononostante, guardando Maddie gli tornò in mente com'era stato lui un tempo. Un'esplosione di emozioni, un reattore nucleare senza valvola di raffreddamento. Meg non sapeva da dove Maddie avesse ereditato quelle manifestazioni plateali, ma lui lo sapeva eccome. Si somigliavano più di quanto volesse ammettere, solo che lui aveva imparato a rinchiudere i propri sentimenti tra cerchi di mura concentriche, mentre Maddie ci sguazzava.

Sotto la sua, la mano di Meg si strinse in un pugno. «Madeline Wintrob. Piantala subito con questa scenata» disse. «Albert Sanguine non ha mangiato nessun bambino. Siamo felici che tu stia bene. Comprendiamo che sia stata una brutta esperienza. Ma non esagerare.»

Gli occhi di Maddie si strinsero in due fessure. Corrugò le sopracciglia in un'unica riga, proprio come Meg. «E allora spiegatemi perché qualcuno avrebbe dovuto abbandonare un neonato? Anche se era nato morto, perché gettarlo via?»

«Probabilmente la madre era minorenne, e nubile» disse Meg.

Maddie fece saettare lo sguardo da Meg a Fenstad, poi di nuovo a Meg. «Ma falla finita.»

«Dunque sei uscita prima da scuola?» domandò Meg.

«Mi dispiace. È colpa mia» disse Enrique. Poi con delicatezza sfilò un rametto impigliato nei capelli viola di Maddie. Quando si accorse che Fenstad lo osservava, arrossì. Invece di lanciare il rametto sul tavolino, se lo cacciò nella tasca del giubbino di jeans come un sordido segreto. Fu allora che Fenstad seppe con certezza ciò che la sua unica figlia stava facendo nel bosco. Questo commesso di drogheria doveva sparire dalla sua vita. Subito, prima che Fenstad si sporcasse le labbra di sangue.

«Non è colpa di Enrique. L'idea è stata mia» replicò Maddie.

Il sangue di Fenstad ribolliva. Sentì abbaiare un cane. Provò il desiderio di uccidere quello stronzetto magrolino. Meg gli prese la mano e la strinse forte. «Questo lo avevamo intuito, ma ti ringrazio per averlo confessato.» Poi aggiunse: «Sei in castigo».

«Mamma!» si imbronciò Maddie. «Sono all'ultimo anno. La lezione che ho saltato non è nemmeno obbligatoria. Ci insegnano a cucinare il formaggio spray nel microonde. È roba da ritardati.»

«Non esci per una settimana. Dopo la scuola verrai in biblioteca a fare i compiti, e poi a casa in macchina con me. Lo faccio per il tuo bene. Se quello che hai detto è vero, Albert potrebbe essere ancora là fuori. Finché la polizia non lo trova non voglio che tu giri in bicicletta per tutto il creato.»

«Stai scherzando?» domandò Maddie. Aveva la bocca spalancata per lo shock.

Fenstad si rese conto che sua moglie era un genio. Tra poco Enrique sarebbe partito per il campo di addestramento. Sarebbe partito prima della fine del castigo di Maddie. Niente fuga romantica, niente anello verdastro.

«Niente telefonate. Niente gite nel bosco. Niente visite a Enrique al Puffin Shop» disse Meg.

«PAZZESCO!» urlò Maddie. «A David non lo avresti mai fatto. Nemmeno in un milione di anni. Io non faccio mai niente di male, ma mi tratti sempre come una pazza. Non ho bisogno di protezione. Me la cavo benissimo da sola.»

«Cara» disse Meg, «hai bigiato la scuola.» Poi diede di gomito a Fenstad.

«È per il tuo bene» ribadì lui.

Maddie gli lanciò uno sguardo di fuoco, e per un secondo gli fece paura quanto Meg nelle sue peggiori crisi di collera. «Stai sempre dalla sua parte. Sei un invertebrato. Credi che non lo sappia, ma lo vedo benissimo. È solo perché è un mangia-tacos.»

Accanto a lei, Enrique si irrigidì.

Maddie fece per balzare dal divano ma non andò da nessuna parte. Normalmente a quel punto sarebbe già stata quasi fuori dalla porta, ma avrebbe significato lasciarsi indietro Enrique.

Il tono di Fenstad era severo. «Maddie Bonelli Wintrob, non osare mai più ripetere quella parola in questa casa.»

«Scusami, papà.» Aveva la faccia paonazza, perché le era venuto il sospetto che forse il suo ragazzo si era offeso. A giudicare dal silenzio e dagli occhi sbarrati di Enrique, ci aveva azzeccato. Il ragazzo sembrava devastato.

«Grazie dell'ospitalità, signora Wintrob» disse alzandosi in piedi.

«Vai via?» domandò Maddie. Aveva una voce flebile, e Fenstad capì che era piena di vergogna, ma anche perplessa. Non capiva cosa avesse fatto di male, né perché Enrique sembrasse tanto ferito.

«Sì, me ne vado» disse Enrique.

La differenza di età e maturità tra loro di solito non era così evidente, ma in quel momento a Fenstad parve lampante. Quell'uomo aveva delle bocche da sfamare, mentre Maddie voleva educare le masse sull'importanza del riciclaggio. Enrique la abbracciò con veemenza, poi, senza darle il tempo di protestare, uscì dalla porta d'ingresso. Fenstad provò qualcosa quando notò gli occhi del ragazzo gonfi di lacrime. Qualcosa di simile a un rimpianto.

Meg si sporse sul tavolino cercando di prendere la mano di Maddie. «Pensiamo solo che...»

Maddie si girò di scatto. Ai lati del collo aveva le vene gonfie e in rilievo, e le mani le si erano strette in due pugni. «Ti odio!» gridò. Le labbra erano contratte in un ringhio, non una cosa graziosa a vedersi. Tremava di rabbia, e Fenstad pensò, per un secondo, che stesse per colpire sua madre.

«Vi credete tanto intelligenti, e invece siete solo due stronzi» disse, e questa volta aveva la voce gelida. Lui si sentì come gli avessero sferrato un pugno. Lei era rimasta senza fiato, ferma a guardare la loro reazione. Qualunque cosa vide, le suscitò una smorfia di disgusto. Marciò dritta in camera e sbatté la porta. Qualche secondo dopo ne uscì una musica a un volume così alto che lui avvertì le vibrazioni del basso attraverso le piante dei piedi.

Lui e Meg si guardarono, e scossero la testa. Erano entrambi a corto di ossigeno, come avessero appena terminato una corsa. Lui avrebbe voluto seguire Maddie per le scale e rimangiarsi tutto.
Ricomiciamo da zero, dal principio
avrebbe voluto dirle.

«Quand'è stata l'ultima volta che l'abbiamo messa in castigo?» domandò.

Meg sorrise con aria di disappunto. «Mai. È la prima volta. E ha fatto cose molto peggiori che bigiare una lezione di economia domestica.»

Fenstad scosse la testa. «Questa volta è diverso.»

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