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Authors: Sarah Langan

Virus (31 page)

Però lei odiava quella lagna, giusto?

La cosa che viveva dentro di lei sbatté le palpebre. Se la sentì strisciare dietro gli occhi. Era viscida, e passando le placava il prurito.
Dolce Lois
,
disse melliflua.
Tuo padre è qui con noi. Dice che puoi arrenderti adesso. Hai fatto del tuo meglio. È orgoglioso di te.

Lois alzò lo sguardo alle crepe del soffitto, e si sforzò di farlo crollare con la mente.

Dammi da mangiare, Lois
,
pretese la voce. Non più melliflua, ormai.

Si tappò le orecchie con le mani. Perdeva acqua dagli occhi. Non capiva cosa fosse. Lacrime? Era così che piangevano gli esseri umani? Dunque significava che lei era ancora umana? Provò un tremito nel petto sotto il prurito, e decise di chiamarlo speranza.

Hai vinto tu, mia Lois. Adesso hai capito. Devi mangiare, altrimenti morirò dentro di te. Dammi da mangiare, adesso.

«Papà?» bisbigliò lei, anche se sapeva che non era il suo papà; era la cosa sepolta. Le leggeva nel pensiero, le diceva quello che voleva sentirsi dire.

Strinse il cartoncino, e desiderò che si trattasse di un sogno. Desiderò di essere ancora nel bosco, solo che questa volta sarebbe scappata via. Questa volta avrebbe preso la decisione giusta. Ma aveva preso tante decisioni sbagliate, si erano accumulate come fossili nella storia della sua vita, e l'avevano intrappolata nel suo letto di bambina - come carne dentro un osso.

«Papà, ti prego, dimmi tu cosa devo fare» sussurrò, ma la sua voce era piatta e irriconoscibile, anche per lei stessa.

Smetti di resistere, stellina
,
rispose una voce. Somigliava tanto a quella di suo padre che le venne da sorridere. Le parole incespicavano una sull'altra come tessere di un domino, proprio come faceva lui.
Lo sai cosa devi fare
,
bisbigliò suo padre.
Non c'è altra via.
Ma non poteva essere suo padre. Suo padre non avrebbe mai suggerito una cosa tanto... orrenda.

Dalla stanza accanto, Lois avvertiva le vibrazioni del respiro di Jodi mentre sottovoce cercava di indovinare i cruciverba della
Ruota della fortuna: Sus... Sus... Susquehanna, la fabbrica di cappelli!
Il prurito era peggiorato. Si grattò lo stomaco e l'ultima unghia rimasta schizzò via. Le sue dita non sembravano più dita.

Le prime notti dopo aver mangiato la terra nel bosco, aveva divorato qualunque cosa le capitasse a tiro. La pancia piena le dava sollievo al prurito, come acqua gelida su una scottatura. Ricordava ancora gli occhi lucenti di un procione, grasso di avanzi rubati dai bidoni della spazzatura, e il suo strillo acuto quando gli aveva spezzato il collo coi denti. La mattina dopo si era detta che quel ricordo era un sogno della febbre, ma conosceva la verità.

Intuiva qualcosa della presenza che si era impadronita del suo corpo. Come i fiori sgargianti e profumati che attiravano le api, quand'era vicina diffondeva nell'aria il suo odore di zolfo e infettava la mente delle persone. Era stato così, con la frode, che l'aveva spinta a mangiarla, a darle dimora dentro di sé. In quel momento stava impossessandosi del suo corpo, una cellula dopo l'altra. Le aveva accelerato il metabolismo, per questo la fame la tormentava. La stava trasformando a propria immagine e somiglianza. La trasformava in
non Lois.

Ma perché soffrirne? Lei odiava Lois, giusto?

Se stava in ascolto, riusciva a sentire gli infetti che vagavano per le strade. Amavano la notte, perché il sole feriva i loro occhi neri. La notte prima avevano picchiato alle finestre, e sua madre aveva gridato. Oggi sarebbero tornati. C'era qualcosa in lei che li attirava.

Gran parte degli infetti mutavano nel giro di pochi secondi. Qualcuno resisteva abbastanza da raggiungere tossendo l'ospedale. Molti morivano, mentre ad altri il virus danneggiava il cervello tanto da renderli dementi, e a quel punto anche il virus diventava ottuso. La sua intelligenza dipendeva dall'ospite. Era per questo che gli infetti avevano commesso tanti stupidi errori. Avevano divorato tutti gli animali, e adesso si trovavano costretti a uscire allo scoperto davanti agli umani.

Lois non era come gli altri. La sua mente era ancora vigile, per quanto
mutata.
Questione di chimica organica. Anche il tifo trova un portatore su un milione. Per questo la cosa voleva lei. Per sopravvivere, un virus deve trovare l'ospite perfetto. La cosa aveva bisogno di lei. Lei aveva cercato di scacciarla con la fame, ma si era fatto tardi, e i suoi capelli cadevano a ciocche.

Smetti di resistere, Lois
,
disse la voce. Ora sembrava il dottor Wintrob.
Conosci la verità: prima di questo, tu non eri nessuno. Nemmeno Ronnie Koehler è riuscito ad amarti.

Le sue guance erano fredde dove scorrevano le lacrime. Strinse il cartoncino rosa e mormorò:
è così che mi uccidi
,
anche se non sapeva cosa volesse dire. Le parole le davano conforto. Erano umane, non come la cosa che viveva dentro di lei. Non come
non Lois.

Ma poi, in cosa si stava trasformando?

Fame.

Le brontolava lo stomaco. Oggi aveva recitato tre rosari per suo padre, sperando che il suo fantasma le inviasse un segno, ma si era fatto tardi, e non aveva più unghie per combattere il prurito.

Ho fame, Lois.

Si leccò le labbra. Anche il bambino dentro lei scalciava. Ma di chi era quel bambino, poi?
Ronnie! Un tempo lo amavi, ricordi?
rispose una voce lamentosa. No, a essere sincera, non lo ricordava affatto. Non lo aveva mai amato. Lei non aveva mai amato nessuno.

Nella stanza accanto, sua madre ridacchiò. Vanna White pedalava su un monociclo.

Ti hanno intralciata. Ti hanno domata. Non hanno mai capito cosa potevi diventare.
La voce era quella di suo padre, e del dottor Wintrob, e del suo primo ragazzo, ma soprattutto era la voce della cosa fredda, spietata, che svolgeva le sue spire come un verme dentro la sua testa. Lei sentiva le sue parole, sforzandosi di resistere. Poi smise di provarci. Non fosse stato per sua madre e per Ronnie, adesso avrebbe avuto una cattedra all'Università del Maine. Avrebbe avuto un marito, tre bambini e un cane. Le avevano rubato la vita. C'era una giustizia nel fatto che solo quella creatura non umana arrivasse a capirlo.

Meritava di meglio. Voleva liberarsi della gabbia in cui l'avevano imprigionata. Questo letto, questa casa, questa città, questa Lois Larkin. Aveva fame, ma non c'era più carne. Non c'erano più animali. Sentì sua madre borbottare: «Comprati una vocale, imbecille».

Aveva fame di qualcosa di umano.

Gli infetti premevano alla sua finestra. Il virus spalancò le palpebre dentro di lei, e lei ne avvertì la disperazione. Senza di lei, non era che istinto e fame. Senza di lei, avrebbe continuato a mangiare fino a non lasciare più niente, e poi sarebbe morto.

Scese dal letto, e si diresse alle trappole che aveva messo contro se stessa: le campanelle che dovevano allertare sua madre dei suoi movimenti, l'asse del pavimento sconnessa nella quale la vecchia Lois aveva sperato inciampasse quella nuova. Gli infetti sorrisero quando la videro arrivare, e la cosa sepolta dentro di lei fece una risatina. O forse non era la cosa sepolta: forse era lei che rideva.

Pensò a Russell Larkin, a come lo avrebbe deluso. Ma anche lui l'aveva delusa. Su quella strada innevata, avrebbe dovuto chiamare aiuto. Avrebbe dovuto lasciarle un biglietto. Avrebbe dovuto trascinarsi carponi fuori dalla macchina, anche solo per dirle addio. Si portò alla bocca il cartoncino rosa scarabocchiato e cominciò a masticare. Divorò la vecchia Lois Larkin, finché non ne rimase nemmeno il sapore.

Strappò i chiodi che aveva piantato. Le dita sanguinavano, ma le ferite si rimarginavano all'istante. Quando aprì la finestra, gli altri infilarono le braccia magre oltre il davanzale per scavalcarlo. Lei rimase ad attenderli nella sua camicia da notte bianca (
è
così che mi uccidi
) come una sposa.

In prima fila c'erano i suoi bambini, la sua quarta elementare al completo. Le labbra di George Sanford erano rosse, ma questa volta non erano pastelli a cera. Caroline Fischer. Alex e Michael Fullbright. Donna Dubois. Vagavano di notte, senza un posto dove andare. La metamorfosi li faceva ammalare, e non c'era nessuno che si prendesse cura di loro. Il loro istinto era cieco.
Hanno bisogno della loro mamma, Lois
,
sussurrò la cosa sepolta, ed era la verità. I suoi bambini avevano bisogno di lei. La povera Caroline sanguinava. Aveva così fame che si era rosicchiata la carne del pollice.

Gli occhi di Lois perdevano acqua. I suoi piccoli. Sì, dopotutto era vero che li amava. Amava i suoi bambini.

Nello specchio vide riflessa una persona pallida e sconosciuta. Denti perfetti e occhi neri. Scarna e ossuta come un animale senza pelliccia. Si muoveva con lei. Abbassò lo sguardo sui bambini, che non erano bambini; avevano gli occhi troppo neri, ghigni troppo grandi. Le si strinse la gola.
In cosa si stavano mutando?
Ma poi smise di chiederselo. Qualunque cosa fosse, le piaceva, perché non era Lois Larkin.

James Walker sibilò. Lei gli leggeva nel pensiero. Quella sera aveva ucciso i suoi genitori, ma aveva ancora fame, perché non era riuscito finirli. Povero piccolo. Le si nascose tra le braccia come se soltanto lì si sentisse a casa (
Qui è dove le nostre strade si separano
). «Bravo, cucciolo» disse lei. Ricordò come l'aveva presa in giro per la lisca, e con due dita gli pizzicò una guancia tanto da farlo contorcere. «D'ora in poi mi prenderò io cura di voi» disse.

Uscì dalla stanza. Seguiva la sua fame, e i bambini seguivano lei. C'erano altri infetti intorno alla casa. Ne avvertiva la presenza; non solo i bambini, ma tutta Corpus Christi. Il virus li aveva mandati da lei, dal loro capo.

Raggiunto il corridoio, un'ombra le venne incontro. Aveva la sua stessa forma; profumava di vaniglia e camminava a passi di piombo, appesantiti dal dolore. Capì allora il significato della poesia. Era stato un messaggio della sua anima.
Qui è dove le nostre strade si separano. Sotto un cartello che dice VUOTO.
L'ombra le passò attraverso.
È così che mi uccidi
,
sussurrò la vecchia Lois Larkin a quella nuova mentre sprofondava nel bosco, nella terra, sotto il terriccio. Se fosse riuscita ad afferrarla, e divorarla per cancellarne anche il ricordo, lo avrebbe fatto. Odiava quella Lois Larkin.

La donna era seduta in cucina, curva davanti a un bicchiere di latte. Sgranò gli occhi. Lois non aveva più i capelli, e la pelle le cascava di dosso. Era un'altra, ma la donna la conosceva bene. Avevano vissuto insieme per quasi trent'anni. Alle sue spalle, i bambini affamati restarono in silenzio a guardare. Nel buio si intravedevano solo le sagome dei loro volti pallidi.

Jodi balzò dalla sedia e le lanciò contro il bicchiere. Lois si scansò, e il latte si rovesciò sul pavimento. All'unisono, i bambini strillarono: «OOOOHHH!»

«Ti prego» gridò Jodi. «Ti prego. Dio, no.»

«Lui si è ucciso per causa tua» disse Lois.

In Jodi persino il terrore era gretto, come un centesimo lesinato. Capì che non avrebbe vinto questa battaglia. Capì che non sarebbe sopravvissuta. «Lui non ti ha mai amata. E io nemmeno» disse.

Lois sorrise. Non fece con calma. Non fu delicata. Strappò la carne dalla gola di sua madre con i denti. Mentre il corpo di Jodi si contorceva, la cosa un tempo chiamata Lois le si acquattò accanto, e insegnò ai suoi bambini come si libera la carne dall'osso.

 

 

Parte Quarta

LA MALATTIA

 

 

24.

Quarantena

 

A Corpus Christi la domenica mattina fu pigra. Gli uccelli non cantavano. I procioni non scavavano tane per il letargo. I cervi non peregrinavano nel bosco, fiutando i rifiuti e i torsoli di mela. Nessuno tagliava i prati. Persino il sole si era intimidito, e si era nascosto dietro le nubi.

L'esercito degli Stati Uniti arrivò prima dell'alba. Sette Humvee e tre jeep percorsero Micmac Street in corteo. Il contingente era più ridotto di quanto i cittadini di Corpus Christi avessero sperato. Non portarono risposte, né salvezza, e nemmeno cibo. Non rinforzarono le difese del municipio né trasportarono gli infetti là dove potevano trovare protezione. Si limitarono a pattugliare gli ingressi della I-95. Non puntavano le armi a terra o verso il cielo, ma dritto davanti a sé. La città era infestata dal virus, e la consegna era che nessuno ne uscisse vivo.

Quella domenica mattina a Corpus Christi gli infetti superavano ormai i sani. Durante la notte, i negozi di Micmac Street erano stati saccheggiati. Le vetrine di Stop&Shop erano state infrante, restavano solo schegge di vetro come denti irregolari e lucenti. Tutta la carne era sparita dai congelatori. Gli hamburger e i quarti di agnello trascinati lungo le corsie avevano lasciato scie di sangue sui pavimenti. Gli infetti gravitavano verso luoghi bui, freddi. Morivano mentre rosicchiavano la carne congelata, le labbra fisse in un sorriso estatico, come se nei loro ultimi momenti avessero scoperto un segreto.

Per la prima volta da oltre cent'anni l'edizione domenicale del
Corpus Christi Sentinel
non uscì. Il direttore era scomparso, insieme a metà della redazione. Alle nove della domenica mattina, la Katv andò fuori onda. Presto la seguirono le stazioni locali di accesso ai canali via cavo. Rimasero solo le reti nazionali. Coloro che erano sopravvissuti alla notte non ebbero più il conforto del sorriso di Linda Lopez, la cui notizia per la giornata, fresca da Washington DC, era lo sconvolgente incremento nel numero di ragazze minorenni disposte alla fellatio. Non venne annunciato lo stato di emergenza nazionale, e si riservò solo un breve accenno al virus, che Linda osservò essere stato isolato nell'entroterra del Maine. Per quanto se ne sapeva a Corpus Christi, il notiziario poteva essere stato registrato e l'intero Paese già ridotto in macerie. O peggio, il Paese stava benissimo, e si era dimenticato di loro.

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