100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (2 page)

29 luglio 2000

Diario,

sono più di due settimane che frequento Daniele e già mi sento molto legata a lui. È vero che i suoi modi nei miei confronti sono alquanto bruschi e mai dalla sua bocca esce un complimento o una bella parola: solo indifferenza, insulti e risate provocatorie. Eppure questo suo agire mi fa accanire ancora di più. Sono sicura che la passione che ho dentro riuscirà a farlo completamente mio, e lui se ne accorgerà presto. Nei pomeriggi caldi e monotoni di quest'estate spesso mi ritrovo a pensare al suo sapore, la freschezza della sua bocca fragolina, i muscoli sodi e vibranti come grossi pesci vivi. E quasi sempre mi tocco, provando stupendi orgasmi, intensi e pieni di fantasie. Sento una grandissima passione dentro, la sento battere sulla mia pelle perché vorrebbe uscire, scatenando fuori tutta la sua potenza. Ho una voglia matta di fare l'amore, lo farei anche subito, e continuerei per giorni e giorni, finché la passione non sarà completamente fuori, libera finalmente. So a priori che non sarò comunque sazia, dopo poco riassorbirò ciò che fuori ho fatto disperdere per poi abbandonarlo nuovamente, in un ciclo sempre uguale, sempre emozionante.

1 agosto 2000

Mi ha detto che non sono capace di farlo, che sono poco passionale. Me l'ha detto con il suo solito sorriso beffardo e io sono andata via in lacrime, umiliata dalla sua risposta. Eravamo sull'amaca del suo giardino, la sua testa poggiata sulle mie gambe, accarezzavo piano i suoi capelli e guardavo le sue ciglia chiuse da diciottenne. Gli ho passato un dito sulle labbra e mi sono bagnata un po' il polpastrello, lui si è svegliato e mi ha fissata con un che di interrogativo.

«Ho voglia di fare l'amore, Daniele», ho detto tutto d'un fiato, con le guance incandescenti.

Ha riso fortissimo, così forte da perdere il fiato.

«Ma via bambina! Cosa vorresti fare tu? Non sei capace
nemmeno
di succhiarmelo!».

L'ho guardato perplessa, umiliata, volevo sprofondare sotto il suo giardino così ben curato e marcire là sotto, mentre i suoi piedi avrebbero continuato a calpestarmi per l'eternità. Sono fuggita via, urlandogli contro uno «Stronzo!» rabbioso, sbattendo violentemente il cancello e accendendo lo scooter per ripartire con l'anima distrutta e colpita nell'orgoglio.

Diario, è così difficile lasciarsi amare? Io pensavo che non fosse necessario bere la sua pozione per garantirmi il suo affetto, che dovevo necessariamente concedermi completamente a lui e, ora che stavo per farlo, ora che ne ho voglia, lui mi deride e mi scaccia via a quel modo. Cosa posso fare? Di rivelargli il mio amore non se ne parla. Posso ancora provargli di essere capace di fare ciò che lui non si aspetta, sono molto caparbia e ci riuscirò.

3 dicembre 2000
22,50

Oggi è il giorno del mio compleanno, il mio quindicesimo. Fuori fa freddo e stamattina ha piovuto forte. A casa sono venuti alcuni parenti che non ho accolto molto bene e i miei genitori, imbarazzati, mi hanno rimproverata quando gli altri sono andati via.

Il problema che i miei genitori vedono solo quello che fa loro piacere vedere. Quando sono più frizzante partecipano alla mia contentezza e si mostrano affabili e comprensivi. Quando sono triste stanno in disparte, mi evitano come un'appestata. Mia madre dice che sono una morta, che ascolto musica da cimitero e che l'unico mio divertimento è chiudermi in camera a leggere libri (questo non lo dice, ma lo capisco dal suo sguardo...). Mio padre non sa niente di come si svolgono le mie giornate, e io non ho nessuna voglia di raccontargliele.

È l'amore che mi manca, la carezza sui capelli che voglio, è uno sguardo sincero che desidero.'

Anche a scuola è stata una giornata infernale: mi sono beccata due impreparata (non ho voglia di mettermi a studiare) e ho dovuto sostenere il compito di latino. Daniele mi batte in testa da mattina a sera e occupa persino i sogni; non posso rivelare a nessuno ciò che provo per lui, non capirebbero, lo so.

Durante il compito l'aula era silenziosa e buia, perché la luce era saltata. Io ho lasciato Annibale attraversare le Alpi e ho lasciato che le oche nel Campidoglio lo aspettassero agguerrite, ho rivolto lo sguardo fuori dalla finestra dai vetri appannati e ho visto la mia immagine opaca e sfocata: senza amore un uomo non è niente, diario, non niente... (e io non sono una donna...).

25 gennaio 2001

Oggi lui compie diciannove anni. Appena sveglia ho preso il cellulare e il bip bip dei tasti è risuonato per la mia camera; gli ho mandato un messaggio di auguri al quale so che non risponderà con un grazie, forse si farà una sana risata leggendolo. E non si potrà più contenere quando leggerà l'ultima frase che gli ho scritto: «Ti amo, ed è tutto quello che conta».

4 marzo 2001
ore 7,30

È passato molto tempo dall'ultima volta che ho scritto e non è cambiato pressoché nulla; mi sono trascinata in questi mesi e ho portato sulle mie spalle l'inadeguatezza nei confronti del mondo; vedo intorno solo mediocrità e mi fa star male persino l'idea di uscire. Per andare dove? Con chi?

Nel frattempo i miei sentimenti per Daniele sono aumentati e adesso sento scoppiare il desiderio di averlo mio.

Non ci vediamo dalla mattina in cui me ne andai piangendo da casa sua e solo ieri sera una sua telefonata ha rotto la monotonia che in tutto questo tempo mi ha accompagnata. Spero tanto che non sia cambiato, che tutto in lui sia rimasto uguale a quella mattina in cui feci la mia conoscenza con l'Ignoto.

Sentire la sua voce mi ha risvegliata da un lungo e pesante sonno. Mi ha chiesto come me la passavo, cosa avevo fatto in questi mesi, poi ridendo ha chiesto se le tette sono cresciute e io gli ho risposto di sì, anche se non è affatto vero. Dopo aver speso le ultime parole di circostanza gli ho detto la stessa cosa di quella mattina, cioè che avevo voglia di farlo. In questi mesi la voglia è stata lacerante; mi sono toccata all'esasperazione, provando migliaia di orgasmi. Il desiderio s'impadroniva di me persino durante le ore di lezione, ore in cui, sicura che nessuno mi stesse guardando, poggiavo il mio Segreto sul piedistallo in ferro del banco e facevo una leggera pressione con il corpo.

Stranamente ieri non mi ha derisa, anzi è rimasto in silenzio mentre gli confidavo la mia voglia e ha detto che non c'era nulla di strano, che era giusto che avessi certi desideri.

«Anzi», ha detto, «dato che ti conosco da qualche tempo, posso aiutarti a realizzarli».

Ho sospirato e ho scosso la testa: «In otto mesi una ragazzina può cambiare e arrivare a capire certe cose che prima non capiva. Damele, dì piuttosto che non hai fiche a disposizione e che improvvisamente», e «finalmente!», ho pensato, «ti sei ricordato di me», ho sbottato.

«Ma tu sei completamente andata! Fammi chiudere, non il caso di parlare con una come te».

Spaventata di ricevere un'altra volta la porta in faccia da lui mi sono piegata a esclamare un «No» implorante e poi: «Va bene, va bene. Scusami».

«Vedo che sai ragionare... ho una proposta da farti», ha detto.

Curiosa di ciò che stava per dirmi l'ho incitato in maniera infantile a parlare e lui ha detto che l'avrebbe fatto con me solo se fra noi non fosse nato nulla, ma solo una stona di sesso nella quale ci saremmo cercati soltanto quando ne avessimo avuto voglia. Ho pensato che a lungo andare anche una stona di sesso può tramutarsi in una stona d'amore e l'affetto, anche se non compare i primi tempi, comparirà con l'abitudine. Mi sono prostrata al suo volere pur di assecondare i miei capricci: sarò la sua piccola amante a scadenza, quando si sarà stufato mi scaricherà senza troppi problemi. Vista così la mia pnma volta sembrerebbe un accordo vero e proprio mancante forse di un documento scntto che lo suggelli e lo attesti fra un essere troppo furbo e un essere troppo curioso e voglioso che ha accettato i patti a testa china e con un cuore che manca poco che esploda.

Spero però nella buona riuscita, perché il ricordo voglio conservarlo dentro per sempre e voglio che sia bello, lucente, poetico.

15,18

Sento il mio corpo distrutto e pesante, incredibilmente pesante. E come se qualcosa di molto grande mi fosse caduto addosso e mi avesse schiacciata. Non mi riferisco al dolore fisico, ma a un dolore diverso, dentro. Dolore fisico non ne ho provato anche se quando stavo sopra...

Stamattina ho preso dal garage il mio scooter e sono andata nella sua casa in centro. Era mattina presto, mezza città dormiva ancora e le strade erano pressoché sgombre; di tanto in tanto qualche camionista suonava rumorosamente e mi lanciava un complimento e io sorridevo un poco perché pensavo che gli altri potevano scorgere la mia allegria, che mi fa più bella e luminosa.

Arrivata sotto casa ho guardato l'orologio e mi sono accorta di essere tremendamente in anticipo, come sempre. Allora mi sono seduta sul motorino, ho aperto la cartella e ho preso il libro di greco per ripassare la lezione che avrei dovuto ripetere in classe questa stessa mattina (se i miei prof sapessero che ho bigiato la scuola per andare a letto con un ragazzo!). Ero tuttavia ansiosa e sfogliavo e risfogliavo il libro senza poter leggere una parola, sentivo il cuore pulsare veloce, il sangue, velocissimo nelle mie vene, lo sentivo scorrere sotto la pelle. Ho posato il libro e mi sono specchiata sullo specchietto dello scooter. Ho pensato che i miei occhiali rosa a goccia lo avrebbero incantato e che il ponch nero sopra le mie spalle lo avrebbe stupito; ho sorriso mordendomi le labbra e mi sono sentita orgogliosa di me. Mancavano solo cinque minuti alle nove, non sarebbe stato un dramma se avessi suonato in anticipo.

Subito dopo aver citofonato l'ho intravisto a dorso nudo dietro la finestra, ha alzato la persiana e ha detto con un viso e un tono duri, ironici: «Mancano cinque minuti, aspetta lì, ti chiamerò io alle nove esatte». In quel momento ho riso stupidamente, ma adesso ripensandoci credo che il suo fosse un messaggio in cui voleva ben chiarire chi fosse quello che decideva le regole e chi quella che doveva rispettarle.

È uscito fuori in balcone e ha detto: «Puoi entrare».

Sulle scale sentivo odore di piscio di gatto e di fiori lasciati ad appassire, ho udito una porta aprirsi e ho scalato gli scalini a due a due, perché non volevo ritardare niente. Aveva lasciato la porta aperta e sono entrata chiamandolo piano; ho sentito dei rumori in cucina e mi sono diretta verso la stanza, lui mi venuto incontro fermandomi con un bacio sulle labbra veloce ma bello, che mi ha fatto ricordare il suo sapore di fragola.

«Vai di là, arrivo fra un attimo», ha detto indicandomi la prima stanza a destra.

Sono entrata nella sua camera in pieno disordine, era evidente che si fosse svegliata da poco assieme a lui. Sul muro erano attaccate targhe di automobili americane, poster di cartoni animati manga e svariate foto dei suoi viaggi. Sul comodino c'era una sua foto da bambino, l'ho toccata piano con un dito e da dietro lui ha abbassato la cornicetta dicendomi che non dovevo guardarla.

Mi ha afferrato le spalle e mi ha fatta voltare, mi ha scrutata attentamente e ha esclamato: «Come cazzo ti sei vestita?!».

«Vaffanculo, Daniele», ho risposto ancora una volta ferita.

Il telefono ha squillato e lui è uscito dalla stanza per rispondere; non sentivo bene ciò che diceva, solo parole smorzate e risate soffocate. A un certo punto ho sentito: «Aspettami lì. Vado a vederla e poi te lo dico».

Allora ha affacciato la testa dalla porta e mi ha guardata, è ritornato al telefono e ha detto: «Sta in piedi vicino al letto con le mani in tasca. Ora me la scopo e poi ti dico. Ciao».

È ritornato con il volto sorridente e io ho risposto con un sorriso nervoso.

Senza dire niente ha abbassato la persiana e ha chiuso a chiave la porta della sua camera; mi ha guardata per un istante e si è abbassato i pantaloni, rimanendo in mutande.

«Be'? Cosa fai ancora vestita? Spogliati, no?», ha detto con una smorfia sul viso.

Rideva mentre mi spogliavo e, una volta rimasta completamente nuda, mi ha detto inclinando un poco la testa: «Be'... non sei poi così male. Ho fatto un accordo con una bella figa». Non ho sorriso questa volta, ero nervosa, guardavo le mie braccia bianche e candide che splendevano per i raggi che filtravano appena dalla finestra. Ha cominciato a baciarmi sul collo ed è sceso man mano più giù, sui seni e poi sul Segreto, dove già il Lete aveva cominciato a scorrere.

«Perché non te la depili?», ha sussurrato.

«No», ho detto con lo stesso volume di voce, «mi piace più così».

Abbassando la testa potevo notare la sua eccitazione e allora gli ho chiesto se voleva cominciare.

«Come ti andrebbe di farlo?», ha chiesto senza indugiare.

«Non so, dimmi tu... non l'ho mai fatto», ho risposto con un pizzico di vergogna.

Mi sono sdraiata sul suo letto sfatto e dalle lenzuola fredde, Daniele si è messo sopra di me, mi ha guardata dritta negli occhi e mi ha detto: «Mettiti sopra».

«Non mi farò male stando sopra?», ho chiesto con un tono quasi di rimprovero.

«Non importa», ha esclamato senza guardarmi.

Mi sono arrampicata su di lui e ho lasciato che la sua asta centrasse il centro del mio corpo. Ho provato un po' di dolore, ma niente di terribile. Sentirlo dentro di me non ha provocato quello sconvolgimento che mi ero aspettata, anzi. Il suo sesso dentro provocava solo bruciore e fastidio, ma è stato doveroso per me rimanere incastrata a lui a quel modo.

Non un gemito dalle mie labbra, tese in un sorriso. Fargli comprendere il mio dolore sarebbe stato esprimere quei sentimenti che lui non vuole conoscere. Vuole servirsi del mio corpo, non vuole conoscere la mia luce.

«Dai, piccola, non ti farò male», ha detto

«No, tranquillo, non ho paura. Ma non potresti meterti tu sopra?», ho chiesto con un sorriso lieve. Con un sospiro ha acconsentito e si è buttato sopra di me.

«Senti qualcosa?», mi ha chiesto mentre cominciava a muoversi piano.

«No», ho risposto credendo che si riferisse al dolore.

«Come no? Sarà il preservativo?».

«Non so», ho continuato, «non sento nessun male».

Mi ha guardata disgustato e ha detto: «Tu, cazzo, non sei vergine!».

Non ho risposto subito e l'ho guardato stupefatta: «Come no? Scusa, che significa?».

«Con chi l'hai fatto, eh?», ha chiesto mentre si alzava frettolosamente dal letto e riprendeva i vestiti sparsi sul pavimento.

«Con nessuno, giuro!», ho detto forte.

«Per oggi abbiamo finito»!

Il resto è inutile raccontarlo, diario. Sono andata via senza nemmeno il coraggio di piangere o di urlare, solo con una tristezza infinita che mi stringe il cuore e lo divora piano piano.

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