Read 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire Online
Authors: Melissa Panarello
So benissimo che talvolta il diavolo si presenta sotto false spoglie e manifesta la sua identità solo dopo averti conquistata. Prima ti guarda con occhi verdi e luccicanti, poi ti sorride bonariamente, ti da un bacio lieve sul collo e dopo t'inghiotte.
L'uomo che mi si è presentato davanti era elegante e non proprio bello; alto, robusto, capelli brizzolati e radi (chissà se avrà davvero trentacinque anni), occhi verdi e denti grigi.
Al primo impatto ne sono rimasta affascinata ma subito dopo il pensiero che lui fosse lo stesso uomo della chat mi ha fatto sussultare. Abbiamo percorso i marciapiedi puliti da cui si affacciano i negozi chic dalle vetrine luccicanti; mi ha parlato di sé, del suo lavoro, della moglie che non ha mai amato ma che ha sposato perché costretto dalla nascita della bambina. Ha una bella voce, ma una risata stupida che m'infastidisce.
Mentre camminavamo mi ha cinto il busto con un braccio e io ho sorriso di circostanza, infastidita dalla sua invadenza e inquietata da ciò che sarebbe successo dopo.
Potevo benissimo andarmene, riprendere il mio scooter e ritornare a casa, guardare mia madre impastare la farina per la torta di mele, sentire mia sorella leggere ad alta voce, giocare con il gatto... Posso benissimo gustare la normalità e vivere bene dentro di essa, avere gli occhi luminosi solo perché ho preso un buon voto a scuola, sorridere timidamente perché mi viene rivolto un complimento; ma nulla mi stupisce, tutto è vuoto e scavato, vano, privo di consistenza e sapore.
L'ho seguito fino alla sua auto che ci ha portato dritti a un garage. Il soffitto era umido e scatoloni e utensili ingombravano lo spazio già di per sé molto piccolo.
Fabrizio mi entrato dentro piano, lievemente si è buttato su di me e fortunatamente non ho sentito il peso del suo corpo addosso. Avrebbe voluto baciarmi, ma io ho voltato la testa perché non volevo. Nessuno mi bacia dai tempi di Daniele, il calore dei miei sospiri lo riservo alla mia immagine riflessa e la morbidezza delle mie labbra è stata fin troppe volte a contatto con i membri assetati dei diavoli dell'angelo presuntuoso eppure loro, sono sicura, non l'hanno gustata. Così ho mosso la testa per evitare il contatto con le sue labbra ma non gli ho lasciato intendere il mio ribrezzo. Ho fatto fìnta di voler cambiare posizione, lui come un animale ha tramutato la dolcezza che prima mi aveva stupita in cruda bestialità, grugnendo e chiamandomi ad alta voce, mentre le sue dita premevano la pelle dei miei fianchi.
«Sono qui», gli dicevo, e la situazione mi sembrava grottesca. Non capivo il perché stesse pronunciando il mio nome, ma rimanere impassibile ai suoi richiami mi sembrava imbarazzante, così lo rassicuravo dicendo: «Sono qui», e lui si calmava un poco.
«Fammi venire dentro, dai ti prego, fammi venire dentro», diceva sconvolto dal piacere.
«No, non puoi».
E uscito di colpo, pronunciando più forte il mio nome finché non è diventato un'eco sempre più fioca, un lungo sospiro finale. Poi, non contento, è tornato su di me, si è abbassato: ancora una volta lo avevo dentro, la sua lingua mi toccava frettolosa, senza rispetto. Il mio piacere non è arrivato e il suo ritornava, qualcosa di inutile, che non mi riguardava.
«Hai delle labbra grosse e succose tutte da mordere. Perché non le depili? Saresti più bella».
Non ho risposto, non sono affari suoi ciò che faccio delle mie labbra.
Il rumore di un auto ci ha spaventati, ci siamo rivestiti di fretta (io non vedevo l'ora) e siamo usciti dal garage. Mi ha accarezzato il mento e ha detto: «La prossima volta, piccola, lo faremo più comodi».
Sono scesa dall'auto con i vetri appannati e nella stra da tutti hanno notato che uscivo spettinata e sconvolta da quell'auto guidata da uno con i capelli brizzolati e la era vatta scomposta.
A scuola non va molto bene. Sarò io che sono pigra e inconcludente, saranno i professori troppo schematici e categorici... Forse ho una visione un po' idealista della scuola e dell'insegnamento in generale, ma la realtà mi delude completamente. Odio la matematica! Il fatto che non sia un'opinione mi indispettisce. E poi quell'idiota della prof che continua a darmi dell'ignorante senza sapermi spiegare nulla! Sul "Mercatino" ho cercato gli annunci di insegnanti privati e ne ho trovati un paio interessanti. Solo uno era disponibile. È un uomo, dalla voce sembra abbastanza giovane, domani dovremo vederci per accordarci.
Letizia mi batte in testa da mattina a sera, non so cosa mi stia accadendo. A volte mi sembra di essere disposta a
tutto.
Mi ha telefonato Fabrizio, abbiamo parlato a lungo. Alla fine mi ha chiesto se per quella cosa io abbia disponibilità di luoghi. Ho risposto di no.
«Allora sarà il momento che ti faccia un bel regalo»,
ha
detto.
Mi ha aperto la porta in camicia bianca e boxer neri, capelli bagnati e occhiali leggeri. Mi sono morsa le labbra e l'ho salutato. Il suo saluto è stato un sorriso e quando ha detto: «Prego, Melissa, accomodati», ho sentito la stessa sensazione di quando da piccola mischiavo latte, arance, cioccolato, caffè e fragole nel giro di un'ora. Ha urlato verso qualcuno che stava in un'altra stanza, dicendo che andava in camera con me. Ha aperto la porta e per la prima volta sono entrata in una stanza da letto di un uomo normale: niente foto pornografiche, nessun trofeo deficiente, niente disordine. I muri erano tappezzati di vecchie foto, di poster di vecchi gruppi heavy metal e di stampe impressioni-ste. E un profumo particolare e seducente m'inebriava.
Non si è scusato per l'abbigliamento sicuramente informale e a me ha divertito parecchio che non l'abbia fatto. Mi ha detto di sedermi sul letto, mentre lui prendeva la sedia della scrivania e l'avvicinava sedendosi di fronte a me. Ero un po' impacciata... cavolo! Mi aspettavo un arido professorino con maglione a scollo a V color giallo canarino, capelli con il riporto e colorito in tinta con il maglione. Mi si è presentato davanti un giovane uomo, abbronzato, profumato ed estremamente affascinante. Non avevo ancora tolto il cappotto e con una risata mi ha detto: «Ehi, guarda che non ti mangio mica se lo togli».
Ho riso anch'io, dispiaciuta del fatto che non potesse mangiarmi. Non avevo ancora notato le sue scarpe: fortuttamente nessun calzino bianco, solo un'esile caviglia e un piede curato e abbronzato che faceva movimenti concentrici mentre discutevamo sulla tariffa, sul programma e sulle ore di lezione.
«Dobbiamo iniziare da molto, molto lontano», ho detto io.
«Non ti preoccupare, ti farò iniziare dalla tabellina del due», ha ammiccato.
Ero seduta al bordo del letto, con una gamba accavallata e una mano che stringeva l'altra.
«Che bel modo hai di sederti», mi ha interrotta mentre parlavo della mia prof di matematica.
Mi sono morsa nuovamente le labbra e ho sbuffato come per dire «Ma su, dai, cosa dice... !».
«Ah, dimenticavo. Mi chiamo Valerio, non chiamarmi mai professore, mi fai sentire troppo vecchio», ha detto con un dito fintamente minaccioso, cambiando discorso.
Ho indugiato un po': dopo tante battute da parte sua, era ovvio che una io avrei dovuto farla.
Ho schiarito un po' la voce e ho detto piano: «E se io volessi chiamarti volutamente professore?».
Questa volta è stato lui a mordersi le labbra, ha scosso la testa e ha chiesto: «E perché mai dovresti volerlo?».
Ho alzato le spalle e dopo un po' ho detto: «Perché così è più bello, no professore?».
«Chiamami come vuoi ma non guardarmi con quegli occhi», ha detto visibilmente turbato.
Ecco che ricomincio, sempre la solita storia. Che posso farci, non riesco a non provocare chi mi sta davanti e mi piace. Lo colpisco con ogni parola e con ogni silenzio, mi fa sentire bene. E un gioco.
In cucina cenano già. Io mi sono ritagliata un attimo per scrivere, perché voglio rendermi conto davvero di quello che è successo.
Oggi ho avuto la prima lezione con Valerio. Con lui qualcosa riesco a capirla, sarà perché ha delle belle spalle da osservare o delle mani affusolate ed eleganti che accompagnano l'andamento della penna. Sono riuscita a svolgere un paio di esercizi, seppure a fatica. Lui era molto serio, professionale, e questo lo rendeva più affascinante. Mi ha catturata. Gli sguardi che mi rivolgeva erano ammirati, eppure cercava di mantenere una certa distanza fra me e lui, senza che la mia malizia interferisse nel suo lavoro.
Ho indossato una gonna stretta per l'occasione, volevo sedurlo sfacciatamente. Così, quando mi sono alzata per raggiungere la porta, lui ha cominciato a camminare quasi addossato a me. Io, per giocare, alternavo passi veloci e distanziati a passi lenti, in modo da lasciarlo avvicinare per poi ritrarmi subito dopo.
Mentre premevo il pulsante per chiamare l'ascensore ho sentito il suo fiato sul collo e con un sussurro ha detto: «Tieni il telefono libero domani dalle 22 alle 22,15».
Due notizie (come al solito una buona e l'altra cattiva).
Fabrizio ha comprato un piccolo appartamento in centro dove possiamo vederci senza essere scoperti dalle rispettive famiglie.
Tutto contento ha esclamato al telefono: «Ho fatto montare uno schermo gigante di fronte al letto, così potremmo vedere certi filmini, eh piccolina? Ah, ovviamente hai anche tu le chiavi. Ti do un grosso bacio sul tuo bel fac-cino. Ciao ciao». Ovviamente questa è la brutta notizia.
Non mi ha lasciato il tempo di rispondere, di fargli presente le mie perplessità, i miei dubbi. Mi sembra troppo avventato quello che ha fatto. Io avevo intenzione di andarci a letto una volta soltanto e poi arrivederci e grazie, non voglio diventare l'amante di un uomo sposato con figlia a carico! Non voglio lui, il suo appartamento, il suo schermo gigante con i film porno, non voglio che lui acquisti la mia spensieratezza come se acquistasse uno dei suoi soliti prodotti d'alta tecnologia. Con Daniele e l'angelo presuntuoso ho sofferto abbastanza e adesso che sto ricominciando a vivere a modo mio, arriva un orco grasso e incravattato e mi dice che vuole impegnarsi sessualmente con me. Ma le punizioni aleggiano sempre sulle nostre teste, le punte affilate delle spade sono lì pronte a colpirci il centro del cranio quando meno ce lo aspettiamo. E la spada colpirà anche lui perché io ne afferrerò il manico.
Adesso la bella notizia.
La telefonata è arrivata puntuale ed è terminata puntuale.
Ero nuda seduta per terra e la mia pelle era a contatto con il marmo freddo del pavimento della mia stanza. Il telefono in mano e la sua voce sospirata che mi arrivava fluida e sensuale. Mi ha raccontato una sua fantasia. Io seguivo in classe una sua lezione, a un certo punto gli chiedevo di andare in bagno e mentre lo facevo gli davo un bigliettino su cui c'era scritto «seguimi». Lo aspettavo in bagno, lui arrivava, mi strappava la camicetta e con la punta delle dita raccoglieva le goccioline che scorrevano dal lavandino spanato. Le poggiava sul mio petto ed esse scendevano lente. Poi mi alzava la gonnellina a pieghe ed entrava dentro di me, mentre io ero poggiata al muro e raccòglievo nelle mie viscere il suo piacere; le goccioline colavano ancora sul mio corpo, lo bagnavano un poco lasciando piccole scie sulla pelle. Ci ricomponevamo e ritornavamo in classe mentre io dal primo banco seguivo il gesso che scorreva sulla lavagna allo stesso modo in cui lui scorreva dentro di me.
Ci siamo toccati al telefono. Il mio sesso era gonfio come non mai e il Lete in piena solcava il Segreto, le mie dita erano impregnate di me, ma anche di lui che sentivo nonostante la circostanza vicino, e sentivo il suo calore, il suo profumo e immaginavo il suo sapore. Alle 22,15 ha detto: «Buonanotte Loly».
«Buonanotte professore».
Ci sono giorni in cui non so se smettere di respirare definitivamente o rimanere in apnea per tutto il tempo che mi rimane. Giorni in cui sotto le coperte respiro e ingoio le mie lacrime e sento il loro sapore sopra la lingua. Mi sveglio da un letto in disordine, con i capelli spettinati e la mia pelle violata. Nuda, davanti a uno specchio, osservo il mio corpo. Scorgo una lacrima cadere dall'occhio alla guancia, l'asciugo con un dito e mi graffio un po' la góta con un'unghia. Passo le mani sopra i capelli, li tiro indietro, faccio una smorfia tanto per riuscirmi simpatica e ridere di me stessa: ma non ci riesco, voglio piangere, voglio punirmi.
Mi dirigo verso il primo cassetto del comodino. Prima osservo tutto ciò che c'è dentro, poi scarto con cura ciò che devo indossare. Ripongo gli indumenti piegati sul letto e sposto lo specchio in posizione frontale a dove mi trovo. Osservo ancora il mio corpo. I muscoli sono ancora tesi, la pelle è però morbida e liscia, bianca e candida come quella di una bambina. E bambina sono. Mi siedo al bordo del letto, infilo le autoreggenti puntando il piede e facendo scivolare il sottile velo sulla pelle fino a che la balza in pizzo arriva alla coscia, premendola un poco. Poi è la volta della guépière, nera in seta con stringhe e nastrini. Mi cinge il busto e assottiglia la vita che è già molto sottile ed evidenzia ancora di più i miei fianchi, troppo prosperosi, troppo rotondi e burrosi per evitare che gli uomini scaraventino lì le loro bestialità. I seni sono ancora piccoli: sono sodi, bianchi e rotondi, si possono tenere in una mano e riscaldarla con il loro calore. La guépière è stretta, i seni sono compressi e vicini fra loro. Non è ancora tempo di osservarmi. Indosso le scarpe con i tacchi a spillo, infilo il piede fino alla caviglia sottile e sento che il mio metro e sessanta diventa improvvisamente dieci centimetri di più. Vado in bagno, prendo il rossetto rosso e ne bagno le mie labbra succose e morbide; poi infoltisco le ciglia con il rim-mel, pettino i capelli lunghi e lisci e spruzzo tre volte il profumo posto sopra lo specchio. Ritorno nella mia camera. Lì vedrò la persona che sa farmi vibrare forte l'anima e il corpo. Mi osservo incantata, gli occhi brillano e quasi lacrimano; una luce speciale fa da contorno al mio corpo e i ; miei capelli che ricadono dolcemente sulle mie spalle m'invitano ad accarezzarli. La mano dai capelli cade piano, senza che io me ne renda quasi conto, verso il collo; accarezza la pelle delicata e due dita ne cingono un poco la circonferenza premendo piano. Comincio a sentire il suono del piacere, quasi impercettibile ancora. La mano scende un po' di più, inizia ad accarezzare il petto liscio. La bambina abbigliata da donna che ho davanti ha due occhi accesi e vogliosi (di cosa? di sesso? di amore? di vita vera?). La bambina è solo padrona di se stessa. Le sue dita si intrufolano fra i peli del suo sesso e il calore le fa salire un brivido alla testa, mille sensazioni mi invadono.
«Sei mia», mi sussurro e subito l'eccitazione s'impossessa del mio desiderio.
Mi mordo le labbra con i denti perfetti e bianchi, i capelli scomposti mi fanno sudare la schiena, piccole gocce imperlano il mio corpo.
Ansimo, i sospiri aumentano... Chiudo gli occhi, il mio corpo ha spasmi ovunque, la mia mente è libera e vola. Le ginocchia cedono, il respiro è rotto e la lingua percorre stanca le labbra. Apro gli occhi: sorrido alla bambina. Mi avvicino allo specchio e le offro un bacio lungo e intenso, il mio respiro appanna il vetro.
Mi sento sola, abbandonata. Mi sento come un pianeta su cui in questo momento orbitano tre stelle diverse: Letizia, Fabrizio e il professore. Tre stelle che mi fanno compagnia nei pensieri ma non altrettanto nella realtà.