100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (6 page)

10 gennaio 2002
15,45

«Certo che voi donne siete idiote! Guardare due uomini scopare... mah!», ha detto Germano, alla guida. I suoi occhi erano grandissimi e neri; il viso massiccio e ben scolpito sormontato da bellissimi riccioli neri che facevano di lui, se non fosse stato per la carnagione chiara, un giovane africano potente e superbo. Stava alla guida dell'auto seduto come il Re della foresta, alto e maestoso, le lunghe e affusolate dita poggiate sul volante, un anello d'acciaio con dei segni tribali si distaccava dal biancore | della mano e dalla sua straordinaria morbidezza.

Con la vocina sottile e gentile l'altro ragazzo, dalle labbra sottili, rispondeva da dietro per me: «Lasciala stare, non ve di che è nuova? È anche così piccola... guarda che bel visino che ha, così tenero. Sicura, piccola, di volerlo fare?». 

Ho annuito con la testa.

Da quanto ho capito, i due hanno accettato questo incontro perché dovevano un favore a Ernesto, anche se non ho capito di che cosa lo ripagavano. Fatto sta che Germano era irritato da questa situazione e se avesse potuto mi avrebbe lasciata sul ciglio della strada deserta che stavamo percorrendo. Eppure un entusiasmo sconosciuto gli brillava negli occhi, era una sensazione sottile che sentivo arrivare a intermittenza. Durante il viaggio il silenzio ci faceva compagnia. Stavamo percorrendo delle strade di campagna, dovevamo raggiungere la villa di Gianmaria, l'unico posto in cui nessuno ci avrebbe disturbati. Era una vecchia tenuta costruita in pietra circondata da alberi di ulivi e abeti; più lontano si vedevano le distese di viti, morte in questa stagione. Il vento soffiava forte e quando Gianmaria sceso per aprire l'enorme portone in ferro, decine di foglie sono entrate nella macchina cadendo sui miei capelli. Il freddo era pungente, l'odore tipico della terra bagnata e delle foglie lasciate a marcire sotto l'acqua per tanto tempo. Tenevo la borsetta in mano e stavo dritta sui miei stivali alti, stretta a me stessa per il gelo; sentivo la punta del naso ghiacciata e le gote immobili, anestetizzate. Siamo giunti alla porta principale su cui sono intagliati i nomi che i vari bambini avevano impresso sul legno nei loro giochi estivi, un segno del proprio passaggio nel tempo. C'erano anche quelli di Germano e Gianmaria... devo scappare, diario, mia madre ha spalancato la porta e mi ha detto che devo accompagnarla da mia zia (si è rotta un'anca, è all'ospedale). 

11 gennaio 2002

Un sogno che ho fatto stanotte.

Scendo dall'aereo, il cielo di Milano mi mostra un volto corrucciato e ostile. Il vento gelido e appiccicoso mi scompiglia e appesantisce i capelli freschi di parrucchiere; con la luce grigiastra il mio volto assume un colorito spento e i miei occhi sembrano vuoti, cerchiati da sottili sfere fosforescenti che mi donano un'aria ancora più strana.

Le mie mani sono fredde e bianche, da morta. Arrivo all'interno dell'aereoporto e mi specchio su un vetro: noto il mio viso magro e scolorito, i miei capelli lunghissimi arruffati e ormai orrendi, le mie labbra sono serrate, chiuse ermeticamente. Percepisco una strana eccitazione, immotivata.

Poi mi rivedo così proprio come lo specchio mi raffigura, ma altrove. Invece di essere in quest'aereoporto, vestita dei miei soliti abiti firmati, sono stranamente in una buia e puzzolente cella alla quale arriva pochissima luce, cosicché non sono neanche in grado di vedere quali siano le mie vesti, quali le mie condizioni. Piango, sono sola. Fuori deve essere notte. In fondo al corridoio intravedo una luce traballante, dal colore intenso però. Nessun rumore. Lalu-

ce nel corridoio si avvicina. È sempre più vicina e mi spaventa, perché non odo nessun passo. L'uomo che arriva si muove con grande cautela, è alto, possente.

Appoggia entrambe le mani alle sbarre e io, asciugandomi il viso, mi alzo e gli vado incontro; la luce della torcia illumina il suo volto donandogli un'aria diabolica, mentre il resto del corpo mi rimane sconosciuto. Vedo i suoi occhi enormi, e famelici, di un colore indefinibile e due labbra grandi, semiaperte, che lasciano intravedere una fila di denti bianchissimi. Si porta un dito alla bocca facendomi capire di non parlare. Rimango a osservare il suo volto da molto vicino e mi accorgo che è affascinante, misterioso e bellissimo. Ho una scossa tremenda quando poggia le sue dita perfette sulle mie labbra, compiendo un movimento rotatorio. Lo fa dolcemente, le mie labbra sono ormai umide e io, con un gesto quasi spontaneo, mi avvicino ancora di più alle sbarre premendo il mio viso contro di esse. Adesso i suoi occhi s'illuminano ma la sua calma è perfetta e senza tempo: le sue dita entrano in profondità nella mia bocca e la mia saliva le fa scivolare meglio.

Poi le tira fuori e aiutandosi con l'altra mano strappa le mie vesti logore nella parte superiore, lasciando scoperti i seni rotondi. I capezzoli sono duri e irti per il freddo che entra dalla finestrella e al tocco delle sue dita bagnate lo divengono ancora di più. Poggia le sue labbra sui seni, annusandoli dapprima, poi baciandoli. Piego la testa all'indietro per il piacere, ma il mio busto rimane fermo, si concede solo alle sue richieste. Si ferma, mi guarda e sorride. Con una mano fruga fra i suoi vestiti, che avvicinandomi ho compreso essere di un uomo di chiesa.

Vi è un tintinnio di chiavi e il rumore di una porta ferrata che piano si chiude. Lui è dentro. Con me. Continua ancora a strappare le mie vesti lungo tutto il corpo e lascia scoperto il ventre e poi più giù, dove è il mio punto più caldo. Lentamente mi fa sdraiare per terra. Affonda la sua testa e la sua lingua entra fra le mie gambe. Mentre io non ho più freddo, ho voglia di sentirmi, di percepirmi attraverso lui. Lo tiro verso di me e sento i miei umori su di lui. Palpo sotto la tunica e sento il suo membro eretto e bellissimo sotto la mia mano che fruga sempre più affannosamente... Il suo pene sotto la tunica vuole uscire e io lo aiuto alzando il manto nero.

Entra dentro di me, i nostri liquidi si incontrano e scivola stupendamente come il coltello nel burro caldo, ma non mi colpisce. Sfila il suo membro e si siede a un angolo. Io lo lascio attendere e mi avvicino a lui solo dopo. Lo immerge di nuovo nella mia spiaggia spumeggiante. Bastano pochi colpi, duri, secchi e improvvisi a portarmi a un piacere infinito. Siamo all'unisono. Si ricompone e mi abbandona ancora più piangente di quanto non lo fossi prima.

Poi apro gli occhi e sono di nuovo all'aereoporto, osservo il mio volto.

Un sogno dentro un sogno. Un sogno che è l'eco di ciò che è successo ieri. I suoi occhi erano gli stessi di Germano. Il fuoco del camino li illuminava, li faceva brillare. Gianmaria era entrato con due grossi ciocchi e un paio di rami. Li ha disposti nel camino che ha cominciato a rischiarare l'ambiente rendendolo più accogliente. Un calore ignoto e confortante m'invadeva. Ciò che stavo osservando non provocava in me nessuna sensazione orribile e vergognosa, anzi. Era come se i miei occhi fossero abituati a certe scene, e la passione che in tutto questo tempo ha battuto contro la mia pelle è volata fuori e ha colpito il volto dei due giovani che involontariamente erano nelle mie mani. Li vedevo incastrarsi l'uno nell'altro: io nella poltrona accanto al camino; loro nel divano di fronte che si guardavano e si toccavano con gli spiriti d'amore. Ogni loro gemito era un «ti amo» verso l'altro e ogni colpo che sentivo nelle mie viscere devastante e doloroso, per loro era una candida carezza. Volevo far parte anche io di quell'intimità incompresa, del loro rifugio amoroso e tenero, ma non mi sono proposta, ho solo guardato come nei patti. Ero nuda e candida nel corpo e nei pensieri. Poi Germano mi ha lanciato uno sguardo beato. Si è staccato dall'incastro e con mio stupore si è inginocchiato davanti a me e ha aperto piano piano le mie cosce. Ha aspettato un mio cenno per tuffarsi in quell'universo. C'è riuscito per un po', poi è ritornato ad essere se stesso, duro e implacabile Re africano. Ha preso il mio posto e tirandomi per i capelli mi ha indirizzata verso il suo membro, ed è stato quello il momento in cui ho notato i suoi occhi. È stato quello il momento in cui ho capito che la sua passione non era diversa dalla mia: si tenevano entrambe per mano e si sono scontrate e poi fuse. Poi loro due si sono addormentati abbracciati sul divano, mentre io ho continuato a osservarli con la pelle incandescente per le fiamme rosse del camino, sola. 

24 gennaio 2002

L'inverno mi appesantisce, in tutti i sensi. Le giornate sono così uguali e così monotone da non riuscire più a sopportarle. Sveglia prestissimo, scuola, litigi con i professori, tornare a casa, fare i compiti fino a un orario incredibilmente tardo, guardare qualche scemenza alla TV, quando gli occhi reggono ancora leggere qualche libro e poi a dormire. Giorno per giorno va avanti così, salvo qualche telefonata improvvisa dell'angelo presuntuoso e dei suoi diavoli; in quel caso mi vesto come meglio posso, mi tolgo gli abiti da diligente studentessa e indosso quelli della donna che fa impazzire gli uomini. Li ringrazio perché mi danno la possibilità di staccarmi dal grigiore ed essere qualcosa di diverso.

Quando sto a casa mi collego a internet. Cerco, esploro. Cerco tutto ciò che mi eccita e mi fa stare male nello stesso tempo. Cerco l'eccitazione ci dall'umiliazione. Cerco l'annichilimento. Cerco gli individui più bizzarri, quelli che mi inviano fotc sadomaso, quelli che mi trattano da vera puttana Quelli che vogliono scaricare. Rabbia, sperma angosce, paure. Io non sono diversa da loro. I miei occhi assumono una luce malata, il mio cuore batte all'impazzata. Credo (o forse mi illudo?) di trovare nei meandri della rete qualcuno disposto ad amarmi Chiunque questi sia: uomo, donna, vecchio, ragazzo sposati, single, gay, transessuali. Tutti.

Ieri notte ho acceso alla stanza lesbo. Provare cor una donna. Non mi fa completamente schifo l'idea Più che altro mi imbarazza, mi fa paura. Alcune mi hanno contattata ma le ho scartate fin da subito. senza aver visto nemmeno le foto.

Stamattina ho trovato un'e-mail al mio indirizzo d posta: è una ragazza, una di vent'anni. Dice di chiamarsi Letizia, è di
Catania
anche lei. Il messaggio dice ben poco, solo il suo nome, la sua età e il suo telefono. 

1 febbraio 2002
19,30

A scuola mi hanno offerto un ruolo per lo spettacolo teatrale.

Finalmente occuperò le mie giornate a fare qualcosa di divertente. Dovrà andare in scena tra circa un mese, in un teatro del centro.

5 febbraio 2002
22,00

L'ho chiamata, ha una voce un po' stridula. Ha un tono allegro e disinvolto, al contrario del mio, malinconico, greve. Dopo un po' mi sono sciolta, ho sorriso. Non avevo nessuna voglia di sapere di lei e della sua vita. Ero solo curiosa di conoscerla fisicamente. Infatti le ho chiesto: «Scusami
Letizia...
Non hai per caso una foto da mandarmi?».

Lei ha riso rumorosamente e ha esclamato: «Certo! Accendi il PC, te la invio all'istante mentre siamo al telefono, così mi dici».

«OK», ho detto soddisfatta.

Bella, incredibilmente bella. E nuda. Ammiccante, sensuale, accattivante.

Ho balbettato: «Sei davvero tu?».

«Ma certo! Non ci credi?».

«Sì, sì, certo che ci credo... Sei... bellissima...», ho detto stupita (e instupidita!) dalla foto e dal mio trasporto. Non mi piacciono le donne, insomma... Non mi volto per strada quando passa una bella donna, non ardisco le forme femminili e non ho mai pensato seriamente a un rapporto di coppia con una donna. Però Letizia ha un viso angelico e belle labbra carnose. Sotto il ventre ho visto un dolce isolotto su cui potere approdare, ricco e frastagliato, odoroso e sensuale. E i seni, come due dolci colline in cima alle quali vi sono due cerchi rosa e grandi.

«E tu?», mi ha chiesto, «tu hai una foto da mandarmi?».

«Sì», le ho detto, «aspetta un attimo».

Ne ho scelta una caso, scovata nella memoria del mio computer.

«Sembri un angelo», ha tetto Letizia, «sei deliziosa»! 

«Già, sembro un angelo... Ma non lo sono, davvero» ho detto un po' ammiccante.

«Melissa, io voglio incontrarti».

«Spero anch'io», ho risposto.

Dopo abbiamo chiuso la comunicazione e lei mi ha inviato un SMS con scritto «Ti percorrerei il collo con baci ardenti, mentre con una mano ti esplorerei».

Ho scostato le mutandine, mi sono infilata sotto le coperte e ho posto fine alla dolce tortura che Letizia aveva inconsapevolmente avviato.

7 febbraio 2002

Oggi a casa di Ernesto ho rivisto Gianmaria. Era tutto contento, mi ha abbracciata fortissimo. Mi ha detto che grazie a me fra lui e Germano le cose sono cambiate. Non mi ha detto in cosa e io non l'ho chiesto. Tuttavia mi rimane oscuro il motivo che ha spinto Germano a comportarsi così quella sera, è evidente che la causa sono stata io. Ma di cosa? Perché? Io sono solo stata me stessa, diario.

8 febbraio
13,18

Ancora ricerche, non finiranno mai se prima non avrò trovato quello che voglio. Ma in realtà non so cosa voglio. Cerca, continua a cercare, Melissa, sempre.

Sono entrata in una chat, nella stanza "Sesso perverso" con il nick "whore". Ho cercato fra le varie preferenze del profilo, ho inserito alcuni dati che mi interessavano. Lui mi ha subito contattata, "the carnage"; è stato diretto, esplicito, invadente e io lo volevo esattamente così.

«Come ti piace essere scopata?», mi ha scritto esordendo.

E io ho risposto: «Con brutalità, voglio essere trattata come un oggetto».

«E vuoi che io ti tratti come un oggetto?».

«Non voglio niente. Fai quello che devi fare». ; «Sei la mia puttana, lo sai?».

«Difficile per me essere di qualcuno, non sono neanche di me stessa».

Ha cominciato a spiegarmi come e dove mi avrebbe messo il cazzo, quanto tempo l'avrei avuto dentro e come avrei goduto.

Osservavo scorrere le parole che venivano inviate, sempre più veloci. Il mio stomaco si contorceva e dentro mi pulsavano una vita e un desiderio così seducenti da non poter fare altro che cedere. Quelle parole erano il canto delle sirene e io mi sono esposta consapevole eppure dolorosamente.

Solo dopo avermi riferito che si era venuto in mano mi ha chiesto quanti anni avessi.

«Sedici», gli ho scritto.

Ha digitato degli smile di stupore lungo tutta la finestra seguiti da uno smile sorridente. Poi: «Ammazza! Complimenti!».

«Per cosa?».

«Sei già così esperta...».

«Sì».

«Non ci credo».

«Cosa vuoi che ti dica... Tanto che importanza ha saperlo, noi non ci vedremo mai. Non sei nemmeno di Catania».

«Come no?! Sì, sono di Catania»,

Cazzo... ! Anche la sfiga di essere stata contattata da un catanese!

«E adesso che vuoi da me?», gli ho chiesto sicura del la risposta.

«Scoparti».

«L'hai appena fatto».

«No», altro smile, «realmente».

Ci ho pensato qualche secondo poi ho digitato il numero del mio telefonino, al momento di inviarlo ho avuto un attimo di esitazione. Poi il suo «Grazie!» mi ha fatta rendere conto della
cazzata
appena fatta. 

Non so niente di lui, solo che si chiama Fabrizio e ha trentacinque anni.

L'appuntamento è fra
mezz'ora
in Corso Italia.

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